mercoledì 16 dicembre 2009

Pierpaolo De Iulis - Crollo Nervoso

Pierpaolo De Iulis
"Crollo Nervoso"
Spittle
Finalmente disponibile in dvd “Crollo nervoso”, il documentario realizzato da Pierpaolo De Iulis per Rave Up Multimedia, pubblicato dall'etichetta fiorentina Spittle, ormai da tempo impegnata nel recupero di materiale raro e prezioso della new-wave italiana. Si tratta di un lavoro diviso in tre parti, che analizza il percorso del rock tricolore dalla fine degli anni settanta a tutta la prima metà del decennio successivo. Protagoniste quelle realtà, che, pur rifacendosi al modello inglese e americano, seppero tuttavia evidenziare delle peculiarità tali da renderle comunque vive e originali. Non poteva mancare un capitolo intitolato “Firenze Sogna”, dove si racconta di come la città toscana sia stata quella col maggior numero di band, capaci di una vivace commistione tra musica e arte, coinvolgendo anche la moda e il design. E si ricorda che è qui che è nato il gruppo che poi ha avuto maggiore fortuna, seppure in una fase successiva e con un inesorabile tradimento delle sonorità degli esordi: i Litfiba. Non mancano poi giusti tributi alle altre band - Diaframma, Neon e Pankow su tutte - e alle etichette, come Contempo, ricordando che la gran parte dei protagonisti di quell'epoca sono ancora variamente coinvolti con la musica e l'arte. Il capitolo legato a Bologna sottolinea l'importanza della Italian Records di Oderso Rubini e del lavoro anche divulgativo di un giornalista come Red Ronnie. Punta di diamante di quella scena erano i Gaznevada, protagonisti di un percorso che li condusse dal grezzo punk degli esordi a una raffinata new-wave molto personale. Ma “Onde emiliane” è anche CCCP, ad oggi uno dei contributi più significativi all'evoluzione del rock tricolore. Nella puntata intitolata “Italia Wiva” si racconta – tra l'altro - della magnifica Pordenone del Great Complotto, della scena genovese di Scortilla e Dirty Actions, oltre a riferire degli inclassificabili Krisma e della “vesuwave” dei partenopei Bisca. Ricco di interviste e rarissimi filmati, “Crollo nervoso” diventa un documento indispensabile per chiunque voglia conoscere uno dei momenti più intensi e vitali della cultura giovanile nel nostro paese. In allegato c'è un bel cd, “Tracce magnetiche”, raccolta compilata dal giornalista Federico Guglielmi col meglio della sua immensa collezione di demo-tape dell'epoca.
Guido Siliotto

Lydia Lunch

Lydia Lunch
“Big Sexy Noise”
Sartorial
Lydia Lunch ha davvero bisogno di ben poche presentazioni. Musica, poesia, cinema: non ha mai avuto paura di confrontarsi con le più svariate forme d'arte, facendolo sempre e naturalmente a modo suo. Frequenta il rock dai tempi della no-wave, di cui fu giovanissima protagonista coi suoi Teenage Jesus and the Jerks, una delle quattro band presenti sulla leggendaria raccolta-manifesto “No New York”. Oggi, a distanza di tanti anni, non pone alcun freno alla sua creatività, come hanno dimostrato i concerti italiani di qualche mese fa, che avevano surriscaldato le aspettative per questo nuovo album, dal titolo più che adeguato alla sua personalità: “Big Sexy Noise”. Il ritorno avviene in compagnia dei tre Gallon Drunk James Johnston (chitarra), Terry Edwards (sax) e Ian White (batteria), che già l'avevano accompagnata durante l'ultimo tour e che sono stati anche qui capaci di portare a termine un ottimo lavoro. Il suono del disco è sporco, denso e sensuale, figlio dell'incontro tra un blues malato e un insano free-jazz. Su tutto, la voce di Lydia, cinica regina del rock'n'roll.
Guido Siliotto

Uncode Duello

Uncode Duello
“Tre”
Wallace
Il ritorno degli Uncode Duello è all'insegna dell'essenzialità. Sono solo in due, stavolta, Xabier Iriondo e Paolo Cantù, alle prese con gli strumenti martoriati che caratterizzano il suono di questa ennesima sfida. E in due parti si divide questo ep (pubblicato anche in vinile), solo ventitré minuti di musica, esigua durata che però basta per decretare la grandezza di questo nuovo lavoro. Nella prima parte domina una visione radicale, seguendo un'ottica che porta a considerare l'urgenza primordiale come una sorta di legge non scritta da seguire ad ogni costo. Per veicolare il messaggio, occorrono le parole di chi, in punto di morte, celebra l'irrinunciabile libertà (l'appassionata arringa dell'anarchico Vanzetti qui riprodotta ne “Le stesse cose che ho fatto”) e le parole di un poeta folle e geniale come Antonin Artaud (“Artaudelettrico”). La musica è di suoni portati all'eccesso, percussioni claustrofobiche, grumi elettrici e cupe distorsioni. La seconda parte del disco è invece il luogo per “Train Is The Place”, affascinante suite elettroacustica.
Guido Siliotto

Bologna Violenta

Bologna Violenta
“Il nuovissimo mondo”
Bar La Muerte
Bologna mancava all'appello tra le città “violente” dei poliziotteschi anni settanta. Ci pensa Nicola Manzan, polistrumentista e ricercato session man, in questo progetto solista denominato, appunto, Bologna Violenta. Nel suo “Il nuovissimo mondo”, il tributo a quelle pellicole si ferma però alla struggente “Blue Song” dei fratelli De Angelis (il tema di “Milano trema”), che però è una sorta di parentesi quieta tra le due parti di un disco che, in quanto “Dramma in XXIII atti sulla sorte del mondo e sul declino del genere umano”, come dice il sottotitolo, non poteva che essere contraddistinto da un suono apocalittico. Presi come spunto gli infami “mondo movies”, i falsi documentari dove la voce recitante descriveva le nefandezze mostrate dalla sadica regia, Manzan fa un disco politico, dove in chiave grottesca ci racconta gli eccessi - inventati? – di un mondo alla deriva. Il suo hardcore digitale, con chitarre distorte, violino e drum-machine, è la perfetta colonna sonora. Le immagini, invece, le troviamo ogni giorno su telegiornali e Youtube.
Guido Siliotto

Rollerball

Rollerball
“Two Feathers”
Wallace / North Pole
E' sempre un piacere avere tra le mani un nuovo disco dei Rollerball. La band di Portland, Oregon, è ormai una garanzia di qualità. I suoi dischi, infatti, non deludono mai e dispensano sempre piacevoli emozioni. Non c'è da attendersi grosse sorprese, bensì la certezza che sapranno fare bene il loro compito. È così anche questa volta, con il loro recente lavoro intitolato “Two Feathers”. Anche qui, infatti, come siamo ormai abituati dopo ben quindici anni di onorata carriera, un rock che si apre alle molteplici ispirazioni, spaziando da momenti più cupi ad altri dove il suono si fa più arioso, utilizzando tutte le armi a propria disposizione, passando anche attraverso l'elettronica e il free-jazz. Difficile definire la loro musica una volta per tutte, come del resto è impossibile incasellare una creatività che si pone ben pochi limiti. Il nuovo cd esce insieme a un dvd che contiene alcuni video e un film sul tour del 2005 insieme ai nostri Ovo e Ronin tra Italia e Slovenia. Ospiti speciali anche Jacopo Andreini e Scott Rosenberg.
Guido Siliotto

Bastien Vivès

Bastien Vivès
“Il gusto del cloro”
Black Velvet, pp. 144, a colori, euro 18
Parole sott'acqua. Incomprensibili, forse. Gesti, silenzi. Un sorriso seducente. Gli ingredienti di questa storia disegnata dal francese Bastien Vivès sono pochi e semplici. Una storia persino banale: lui, affetto da scoliosi, decide di andare a fare delle nuotate in piscina. Qui incontra lei, se ne innamora. Ma tutto resta nella sfera del non detto. O quasi. Le parole pronunciate diventano incomprensibili, a meno che non ci si voglia abbandonare ai propri sentimenti e, soprattutto, si sia capaci di farlo. Sotto la superficie dell'acqua tutto è più semplice, le difficoltà arrivano all'asciutto, dove ci si deve confrontare con gli altri e, prima tutto, con se stessi. Complimenti al giovane e talentuoso Vivès, che ha saputo realizzare un'opera davvero intensa e coinvolgente.
Guido Siliotto

martedì 24 novembre 2009

Matteo Guarnaccia

Matteo Guarnaccia
“Ribelli con stile”
Shake, pp. 350, euro 18
Dimmi come vesti e ti dirò chi sei. Per tutto il secolo scorso c'è stato un proliferare di mode e stili, che, nel campo dell'abbigliamento, sono stati lo specchio dei fermenti culturali più o meno sotterranei, tutti con una loro peculiare colonna sonora. Matteo Guarnaccia, artista e studioso del costume, ha voluto passare in rassegna i principali tra questi movimenti estetici e sociali, realizzando una carrellata piena di spunti e curiosità. Dagli Apache parigini ai Paninari milanesi, dagli Esistenzialisti agli Hippie, dai Teddy Boy ai Punk, fino a Raver e Skater, il corposo volume, arricchito da molte fotografie, percorre le tappe di questo lungo e avvincente percorso, con indiscutibile padronanza della materia e una prosa vivace ed arguta.
Guido Siliotto

Valentina Dorme

Valentina Dorme
“La carne”
Fosbury
Il ritorno dei Valentina Dorme arriva a quattro anni di distanza dal precedente cd, ma alla testa della formazione c'è sempre lui, Mario Pigozzo Favero, autore delle parole di tutte le canzoni. Il titolo la dice lunga sulle intenzioni della band trevigiana: “La carne”, oltre che un tributo al cinema di Marco Ferreri (citato anche nel brano che per titolo porta il suo nome, dove ci si immedesima nel “Calà di Ferreri con i suoi vizi innominabili”) dà infatti l'idea di volersi mettere a nudo, esponendo senza troppi fronzoli la cruda realtà. Ed è la cruda realtà dell'amore quella che emerge nelle liriche, sempre ispirate, ben assecondate da un rock piuttosto sanguigno, reso ancor più grintoso dall'aiuto senz'altro non secondario di Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, Teatro degli Orrori). Facile e sbrigativo incasellarli nell'ampio filone del cantautorato rock, ma i Valentina Dorme riescono laddove troppe realtà simili falliscono, ovvero nell'evidenziare una personalità ben definita. Merito soprattutto delle parole, che suonano – pregio principale - oneste e sincere.
Guido Siliotto

A Spirale

A Spirale
“Agaspastik”
Fratto9 Under The Sky
Quando le nevrosi, i clangori e gli eccessi sono ingredienti principali di un disco, due sono le possibilità: o si abbassa il volume infastiditi, decretandone la fine, oppure la manopola gira verso destra e ci si lascia coinvolgere. Il nuovo lavoro degli A Spirale, trio napoletano attivo ormai dal 2002 (con trascorsi negli oscuri quanto indimenticati Missselfdestrrruction di "Asimmetrica" - Snowdonia, 2001) – pretende questo tipo di scelta, netta. Del resto, nei piani di Maurizio Argenziano (chitarra), Mario Gabola (sax) e Massimo Spezzaferro (batteria), l'improvvisazione radicale ed estrema è l'unico dogma e il free-jazz è solo un espediente, perché la ricerca è più ampia e abbraccia il noise, tanto che sax e chitarra a volte si confondono, anche per via di una registrazione grezza e funzionale, sfidandosi a chi riesce ad andare oltre il sopportabile. La tensione è sempre palpabile, grumi oscuri e materici, solo a tratti ci sono inattese esplosioni liberatorie. E il volume è sempre al massimo.
Guido Siliotto

lunedì 23 novembre 2009

Makkox

Makkox
“Le (di)visioni imperfette”
Coniglio, pp. 64, a colori, euro 11
Quello di Makkox, al secolo Marco Dambrosio, è un talento esploso su web, grazie a un blog seguitissimo (http://canemucca.tumblr.com). Solo dopo è arrivata la carta: “Liberazione”, “Internazionale”, “Blue”, Animals”. E, finalmente, il primo libro, “Le (di)visioni imperfette”, guarda caso il seguito delle fortunate vignette comparse su Internet. Le vicende sono quelle di coppie che scoppiano, intrecciando sesso e sentimenti con esiti apparentemente paradossali. Con ambizioni da telenovela, la storia si ingarbuglia all'inverosimile, pagina dopo pagina. Il tratto è vivace, le battute fulminanti. Si ride, ma amaro. E, come tutti i serial che si rispettino, non ci può essere un finale che metta le cose a posto, bensì una interruzione improvvisa delle trasmissioni. Ma le scene tagliate, nei contenuti speciali, ci ricordano che la vita, come si sa, va ben oltre la fantasia.
Guido Siliotto

martedì 17 novembre 2009

Alexis Gideon

Alexis Gideon
“Video Musics”
Africantape
Anzi tutto, il formato: il nuovo lavoro di Alexis Gideon esce in Dvd. Non un semplice disco, dunque, ma un vero e proprio cortometraggio di cui il contenuto musicale è solo una parte, la colonna sonora. Non solo sei nuove canzoni per questo artista di Portland (già artefice di un paio di album), ma un lavoro molto più complesso e articolato. Qualche premessa: se il buon Alexis non è pazzo, poco ci manca. Che dire, altrimenti, di uno che decide di realizzare un cartone animato che trae spunto dalla mitologia ungherese e vede come protagonisti strani esseri a metà tra l'uomo e la bestia? La storia è confusa, le animazioni sono super-artigianali, ci si stordisce tra disegni, collages, ologrammi. E la musica? Un turbine di citazioni, dal pop al folk, dall'elettronica a momenti hip-hop. La creatività ha il piede sull'acceleratore, l'opera è molto originale e bizzarra. Di fronte a intellettualismi e triti cliché, Alexis Gideon ci dimostra che c'è ancora spazio, se davvero lo si vuole, per divertire divertendosi.
Guido Siliotto

Wora Wora Washington

Wora Wora Washington
“Techno Lovers”
Shyrec
Si può ancora suonare elettronica senza usare i computer? Certo che sì, ma per farlo bisogna quasi imporselo, facile altrimenti cadere in tentazione e cercare sempre più facili scorciatoie. Da questo dogma, il trio che ha scelto di chiamarsi Wora Wora Washington procede su binari che raccolgono la lezione della new wave, elaborando il suono armati di chitarra, basso e drum-machine, ma soprattutto tante tastiere vintage, col suono caldo e potente. Urlano un sacco, sudano e si divertono e corrono come dei pazzi, dritti alla meta. Ci vuole poco più di mezz'ora per questo biglietto da visita - pubblicato dall'etichetta veneziana Shyrec con copertina accattivante - che, non a caso, si chiama “Techno Lovers”, proprio per questa tendenza a scaldare il cuore con una visione un po' romantica della tecnologia. Non sarà un capolavoro questo disco, ma nella sua urgenza sa farsi largo tra i mille ascolti del presente.
Guido Siliotto

Checchino Antonini / Alessio Spataro

Checchino Antonini / Alessio Spataro
“Zona del silenzio. Una storia di ordinaria violenza italiana”
Minimum Fax, pp. 168, euro 15
A Ferrara, la mattina del 25 settembre di quattro anni fa, il diciottenne Federico Aldrovandi muore dopo essere stato fermato da una pattuglia della polizia. Il blog ideato dalla madre e l'indignazione dell'opinione pubblica squarciano il muro di silenzio. Segue un processo, con la condanna in primo grado dei quattro poliziotti accusati di omicidio. In giorni come questi, anche le pagine di un fumetto possono dare un contributo per smuovere le coscienze. I due autori, il giornalista di “Liberazione” Checchino Antonini e il disegnatore Alessio Spataro, realizzano l'opera con passione e rigore, usando l'accorgimento stilistico di rappresentare i personaggi con sembianze di animali, lasciando che i fatti narrati siano anche lo spunto per le vicende umane del protagonista, un giornalista cocciuto che vuol far luce sulla vicenda. Un racconto amaro, terribile, ma avvincente.
Guido Siliotto

giovedì 12 novembre 2009

Rachel Grimes

Rachel Grimes
“Book of leaves”
RuminanCe
Ricordate i Rachel's, magnifica creatura che, nel corso degli anni novanta, ha tentato con successo una nuova strada tra rock e classica? Il piano di Rachel Grimes ne era uno degli elementi fondamentali. La ritroviamo ora in questo lavoro da solista, “Book of leaves”, un'opera concepita per solo pianoforte con l'ausilio di assai discreti field recordings, una dimensione quindi decisamente più intima e minimale di quella a cui siamo abituati. Il progetto, in partenza, consisteva nella realizzazione di 14 bozzetti strumentali per altrettanti cortometraggi del videomaker Greg King, ma alla fine ne è venuto fori un disco vero e proprio, con una propria coerenza di fondo. Se la band di Louisville è in pausa (“Book of leaves” esce a sei anni di distanza dall'ultimo album dei Rachel's, “Systems Layers”), qui assistiamo a un cambio di rotta significativo, ma con risultati di grande spessore. L'ascolto di queste tracce, infatti, soddisfa per la varietà compositiva di cui l'artista si dimostra capace, abile nello spaziare da atmosfere più drammatiche a momenti maggiormente visionari. Sarà banale, ma è un ascolto perfetto in queste piovose giornate d'autunno, per traghettarci verso l'inverno.
Guido Siliotto

John Perry

John Perry
“Electric Ladyland”
NoReply, pp. 144, euro 12
Continua l'assai interessante operazione “Tracks”, la collana della NoReply dedicata ai dischi fondamentali della storia del rock. Stavolta tocca a “Electric Ladyland”, il capolavoro di Jimi Hendrix, invero forse non il suo album più bello, ma di certo un condensato di grande creatività. Disco peraltro passato alla storia anche per la celebre copertina con le donne nude, ripudiata dallo stesso Hendrix, episodio qui raccontato insieme a molte altre curiosità. L'inglese John Perry ripercorre, con l'ausilio di molte interviste, le tappe che hanno portato alla realizzazione del disco e offre un commento brano per brano, facendo leva sia sulle sue competenze come giornalista che sulle cognizioni che gli derivano dall'attività di musicista.
Guido Siliotto

Brown And The Leaves

Brown And The Leaves
“Landscapes”
Red Birds
A volte, un esordio può stupire per la maturità del contenuto, che sembra il frutto di una meditazione profonda. Altre volte, ci leggi in controluce le ingenuità di un piglio ancora acerbo. Con Brown And The Leaves, le considerazioni valgono entrambe. Mattia Del Moro proviene dalla Carnia, una regione alle falde delle prealpi friulane, luoghi che, per sua stessa ammissione, giocano un ruolo fondamentale per la sua ispirazione. Impegnato a pasticciare con la musica fin da bambino, da qualche anno ha preso in mano la chitarra acustica per farne il “suo” strumento. Dallo studio del fingerpicking, ecco le basi per lo stile. Le canzoni che compongono la raccolta intitolata “Landscapes” colpiscono subito per la qualità della composizione, come pure per la semplice efficacia degli arrangiamenti. Nomi che vengono alla mente durante l'ascolto, quelli ingombranti di Nick Drake e Kings Of Convenience. Il disco è molto bello, ma occorre tradire i maestri il prima possibile, perché il talento c'è, eccome.
Guido Siliotto

Chet Baker

Chet Baker, “Come se avessi le ali. Le memorie perdute”, Minimum Fax, pp. 134, euro 15
Non poteva mancare, nella serie di ristampe per celebrare i quindici anni di attività di Minimum Fax, questa preziosa raccolta di scritti firmati da Chet Baker. Un diario frammentario che non risolve il mistero: come poteva un uomo dalla vita così sregolata regalare una musica così pura. Ma, forse, sta proprio qui il grande fascino di questo musicista straordinario, che ha saputo conquistare le platee di tutto il mondo col suo stile inconfondibile. La musica, le donne, le macchine veloci e, soprattutto, la droga. E, quindi, una salute sempre in bilico e la prigione dietro l'angolo. Raccontato con parole sincere, è un autoritratto che commuove e non fa che accrescere la rabbia per quel volo senz'ali dalla finestra di un hotel di Amsterdam, 21 anni fa.
Guido Siliotto

?Alos

?Alos, “Ricamatrici”, Bar La Muerte
E' un personaggio a suo modo unico Stefania Pedretti. Già fondatrice delle Allun e metà degli Ovo, due delle realtà non-musicali più significative dell'underground italiano, con ?Alos porta avanti da tempo un progetto solista che ha come sbocco principale le performance in giro per il mondo (ora è in tour negli Usa): dopo “One girl cooking music”, che la vedeva impegnata sul palco a suonare e a preparare una cena a lume di candela, è la volta di “One girl sewing music”: arrivata in città per diventare una diva, ?Alos è costretta a fare la sartina in una fabbrica, ma quelle cuciture le si riverberano sulla pelle. “Ricamatrici” ne è la colonna sonora e si tratta, ancora volta, di un disco inclassificabile, la cui incoerenza allude inevitabilmente all'istintività dell'improvvisazione. Lamenti gutturali in una lingua inventata, un pianoforte scordato suonato a occhi bendati, rumori assortiti, scampoli industrial. Con questi ingredienti, Stefania racconta meglio che con le parole la solitudine, l'alienazione e le impossibili vie di fuga.
Guido Siliotto

Dario De Filippo / Misato Hayashi

D. De Filippo / M. Hayashi “Excés d'identité”, Improvvisatore Involontario
Che ci fanno un siciliano e un giapponese alle prese con un pezzo di Piero Ciampi, con sole marimba e percussioni ad accompagnare la voce? Se l'etichetta è Improvvisatore Involontario, inutile fingere di stupirsi: da questa combriccola siamo ormai abituati e disposti (anzi, per lo più lo pretendiamo) ad aspettarci di tutto. Anche cose come questo “Excés d'identité”, album firmato dal duo Dario De Filippo e Misato Hayashi. Un album che s'apre deliziosamente catapultandoci in un mondo exotico ben lontano da certe melasse del lounge, bensì pregnante oltre modo, se non altro per la scelta di tempi arditi e squisitezze tecniche. Prende così corpo la già citata cover, “Rumba di Livorno”, omaggio al “Dario” di Ciampi, dove al testo s'associa una musica che è tutto un eccitante inseguimento tra le percussioni del siculo e la spericolata marimba nelle mani dell'orientale. Un incontro che, anche nelle altre tracce, non lascia alcun dubbio e si rivela davvero fruttuoso, per un disco che sfizioso è dire poco.
Guido Siliotto

lunedì 9 novembre 2009

Daniel Clowes

Daniel Clowes, “Come un guanto di velluto forgiato nel ferro”, Coconino Press, pp. 144, euro 16
Daniel Clowes è considerato uno dei più significativi autori del fumetto underground americano degli ultimi anni. Questo nuovo volume edito in Italia da Coconino Press ce ne dà la prova. Che lo stile dell'autore di Chicago sia oltre modo spiazzante, lo dimostra l'impossibilità di raccontare la trama: il protagonista, abbandonato dalla moglie, la scopre protagonista di un film sadomaso. Allora comincia a cercarla in lungo e in largo, imbattendosi di volta in volta in personaggi sempre più bizzarri: poliziotti sadici, hippies cospiratori, una donna mostruosa, un cane senza orifizi e così via. Il tutto in un'atmosfera da incubo molto vicina alle visioni di David Lynch. Restano soltanto l'angoscia e lo spaesamento, che prendono il lettore pagina dopo pagina di questo affascinante capolavoro.
Guido Siliotto

giovedì 29 ottobre 2009

Paolo Parisi

Paolo Parisi, “Coltrane”, Black Velvet, pp. 128, euro 13
Non era facile l'impresa per Paolo Parisi, poliziano, classe 1980, specie per gli obiettivi che s'era preposto. Da un lato, seguendo la biografia scritta da Lewis Porter, tracciare un percorso lungo la vita del grande John Coltrane. Dall'altro, cercare attraverso il fumetto di evocarne la musica. Divisa in quattro capitoli (sulla falsariga di “A Love Supreme”, il più celebre album del sassofonista), la storia non segue un percorso lineare, bensì procede avanti e indietro, senza negarsi sussulti e scatti improvvisi, per raccontare l'infanzia, il razzismo, la spiritualità, i colleghi, le donne. Bianco, nero e grigio i colori della tavolozza per un tratto scarno ed essenziale. Non una lettura facile, ma di quelle che impongono vari passaggi per la piena soddisfazione.
Guido Siliotto

Les Tueurs De La Lune De Miel

Les Tueurs De La Lune De Miel, “Special Manubre”, Crammed Discs
Preziosa ristampa arriva dagli archivi della Crammed Discs, distribuita in Italia dalla toscana Materiali Sonori. Belgio, 1977. Una congrega di agitatori che si fa chiamare Les Tueurs De La Lune De Miel infiamma le notti della capitale, con una miscela di sonorità rubate qua e là, tra canzone d'autore, free-jazz, punk, avant-rock. Il tutto frullato con una sensibilità sopra le righe, capace di destabilizzare e dal piglio iconoclasta, sguaiata e creativa. Qualche anno dopo, Yvon Vromman, J.F Jones Jacob e Gérald Fenerberg incontreranno Vincent Kenis e Marc Hollander, nucleo degli Aksak Maboul, e la cantante Véronique Vincent per dar vita a una nuova incarnazione della band, realizzando un album omonimo (ma col titolo in inglese: “The Honeymoon Killers”) considerato una delle più importanti uscite del rock europeo di sempre. Ma è in questo esordio, “Special Manubre”, pubblicato per la prima volta su cd, che possiamo trovare davvero e senza filtri tutta la carica incontrollata e incontrollabile di una band che cambiava formazione di continuo, arruolando tra l'altro un vasto campionario di non musicisti.
Guido Siliotto

Kiddycar

Kiddycar, “Sunlit Silence”, RaiTrade
Gli aretini Kiddycar già li avevamo avvistati tempo addietro, quando con un esordio acerbo (“Forget About”), ma assai intrigante, e una proficua collaborazione con Christian Rainer (“How This Word Resounds”), si dimostrarono capaci di grandi cose, ma, soprattutto, non nascondevano l'ambizione di crescere ancora di più, mostrandone peraltro tutte le potenzialità. Eccoli con un nuovo cd tentare di evolversi rispetto alle precedenti prove. Per farlo, dopo essersi lasciati alle spalle, pur senza rinnegarlo del tutto, uno stile che, per molti versi, riecheggiava il cosiddetto glitch-pop, la band ha ormai optato per dare maggiore consistenza ad altre delle principali influenze che da sempre la animano, con una certa predilezione per un pop d'autore malinconico. Attorno alla voce di Valentina Cidda, gli arrangiamenti creano un'atmosfera da sogno, ipnotica e coinvolgente. Se sapranno superare una certa ripetitività e squarciare la patina di eccessiva raffinatezza che pervade il tutto, il prossimo album potrà essere quello della definitiva consacrazione.
Guido Siliotto

The Zen Circus

The Zen Circus - intervista ad Andrea Appino
“Andate tutti affanculo” (Infecta / Unhip / La Tempesta) è l'ultimo disco del trio pisano, il più maturo e, in una parola, il più bello di una carriera sempre in ascesa. Un cd che, a poco più di un mese dall'uscita, sta ottenendo ottimi riscontri, sia di critica che di pubblico. La band è riuscita a realizzare il suo disco più personale da un punto di vista musicale, ma ciò che colpisce sono le liriche, tutte in italiano, una scelta inedita, che manifesta la necessità di parlare a questo paese. due chiacchiere con Andrea Appino, voce e chitarra, autore delle canzoni.
Tutti affanculo. Ma tutti chi?
Il titolo dell'album è chiaramente una provocazione e fin dal momento della sua genesi ci siamo preparati ad aspre critiche. Ma ci fa piacere che sia il pubblico sia gli addetti ai lavori hanno capito quasi subito di cosa si tratta. “Andate Tutti Affanculo” è l'offesa più generalista, qualunquista e vaga che si possa dire oggi, eppure è la più usata quando ci si sente soli, impotenti e non si riconoscono più gli amici dai nemici. Nel disco ci sono dieci brani che sono dieci ritratti del qualunquismo che vige oggi sotto il falso nome dell'uomo qualcuno, citando Caparezza. Noi siamo solo i medium, a raccontarsi sono questi personaggi che sono fotografati senza alcuna morale e quindi volgari e violenti come l'Italia di oggi. Ma anche patetici e poetici, come piaceva a Pasolini. E non solo l'italia della provincia, ma anche e sopratutto l'italia delle più alte cariche istituzionali in confronto alle quali gli Zen Circus e la loro volgarità appaiono come dei chierichetti alle prime armi.
Il passaggio all'italiano, dopo aver fatto un cd in 4 lingue diverse, si legge come la necessità di parlare a questo paese. Il contenuto dei testi, del resto, testimonia un j'accuse a 360 gradi. Il momento è grave, però non sono in tanti quelli che hanno le palle per affrontare la realtà, in politica, così come anche nell'arte. Che ne pensi?
Da una parte pensiamo anche noi che ci sia troppa poca sostanza, dall'altra capisco chi crede fermamente che la musica debba stare lontana dalla “politica” o in generale dal prendere posizioni sulla società in cui nasce e rimanere puro entertainment; pensa al rock'n'roll ed il country americano più atavico che è nato reazionario, fondamentalmente razzista e pro-estabilshment. Ma è poi diventato l'arma preferita di chi quel mondo lo voleva contestare e cambiare. Infatti la gente ti cambia intorno, l'aria si fa pesante, il divertimento puro lascia l'amaro in bocca e c'è bisogno di dire le cose come stanno, o almeno, di fotografare - come dicevo sopra - quello che abbiamo intorno a noi e le reazioni degli altri rispetto al vivere oggi. D'altronde è sempre stato così nell'arte: vive per sempre solo quando definisce appieno l'epoca in cui è nata e le sue contraddizioni, ma senza restarne troppo invischiata.
Sotto accusa c'è anche la generazione di chi ha superato i trent'anni, un po' vittime un po' carnefici di se stessi.
Assolutamente si, anche perchè sotto accusa ci siamo noi in primis. Ed anche perchè sono i miei coetanei, quindi una delle mie principali fonti d'ispirazione per le liriche. E' una generazione partita col botto nei '90, ma la realtà è che siamo cresciuti come individui negli anni '80 e il berlusconesimo ci ha imboccati, coccolati e viziati ben prima di diventare quello che è oggi. Odio guardare indietro, è il mio più grande cruccio: i miei coetanei guardano indietro con nostalgia a momenti della vita in cui le responsabilità non erano così pesanti. Ma come?! Io trovo che sia proprio la responsabilità a fare della vita una cosa che vale la pena: mi assumo tutte le responsabilità, non voglio tornare un pulcino imbevuto di sbornie ormonali, io sono un uomo e la libertà più grande sta nel decidere da solo quello che sono! La nostalgia porta a brutte cose, in primis a ripetere gli errori del passato, ma il passato dev'essere invece un grande lago di conoscenza dal quale scegliere con attenzione cosa pescare e cosa no.
“Canzone di Natale”, il pezzo che chiude il cd, mi ha fatto pensare al vostro più grande pregio, ma anche al più grande difetto (?). Nel momento in cui poteva diventare un brano serio, poetico, amaro, disperato, ci mettete dentro un siparietto comico, una chiacchierata con lo spacciatore, che stempera la tensione e si presta a farsi male interpretare come un ammiccamento. Ecco, dite e fate cose serie, ma non vi prendete sul serio? Siete coscienti del continuo fraintendimento a cui vi esponete?
Il brano è stato scritto nel 2001 da me ed Aldo Acerbi, un nostro grande amico e collaboratore al tempo. Era già stato registrato una volta ed il finale è sempre stato così, lo abbiamo riproposto esattamente come era nato, come ci piaceva. Capisco cosa intendi, mi viene in mente il documentario su Bobo Rondelli di Virzì che ho visto ultimamente dove si parla proprio di questo: questi toscani la cui ironia, strafottenza ed il prendersi troppo poco sul serio taglia le gambe artisticamente nel resto del paese. Vero, verissimo, ma non per noi. Noi crediamo di essere completamente fuori da questo meccanismo, la Toscana non è nemmeno la regione dove andiamo meglio ed è fra quelle dove suoniamo di meno. L'ironia tipica delle nostre parti è però fondamentale nella poetica degli Zen e quella telefonata viene ripetuta ad ogni concerto come un momento liberatorio dopo un'ora di tensione musicale. Stessa cosa nel disco, che viaggia su binari serissimi e decisamente incazzati fino a frangersi in una risata – amarissima - quando Abdul ci ricorda che è mussulmano e che non gliene frega niente del Natale. E poi lasciami dire che essere fraintesi, per un gruppo che intitola il proprio disco più importante “Andate Tutti Affanculo” non deve essere un problema troppo grande.
Del resto siete rimasti indipendenti pur con evidenti possibilità di fare scelte diverse, come smussare certe asperità e fare carriera. Anche qui: una scelta o una necessità?
Guarda, paradossalmente con un disco con questo titolo abbiamo avuto in tre settimane il più alto riscontro di vendite nei negozi mai avuto nella nostra carriera. Su Internet il disco gira che è una meraviglia, “Il Mucchio selvaggio” ci ha fatto onore della copertina, le radio commerciali passano brani nostri come non avevano mai fatto in passato e le prime date del tour sono piene di ragazzi di tutte le età che cantano a squarciagola con noi. Quindi devo pensare che non avere mai smussato certe asperità, aver fatto sempre scelte indipendenti ed essere rimasti cocciutamente rudi nel rapporto con la nostra musica ci abbia fatto solo bene. Non riesco ad immaginarmi gli Zen diversamente da questo: un furgone diesel che piano piano arriva alla meta dove molte spider non arriveranno mai.
Dopo Brian Ritchie (comunque presente sul cd), la vostra più recente collaborazione è con Nada.
Ha cantato nel nostro disco “Vuoti a Perdere”, ma la cosa si sta già evolvendo: sta registrando il suo nuovo disco con il nostro produttore a Ferrara, Karim ha già fatto alcune parti di batteria, mentre io lavorerò a fine mese un po' di chitarre insieme a Giorgio Canali.
Da un punto di vista musicale, ho trovato il disco come la cosa più matura fatta da voi finora: i riferimenti ci sono sempre (Violente Femmes, Pixies, ecc...), ci mancherebbe, ma ora avete trovato una forma più personale. Sei d'accordo?
Decisamente, ma credo anche che cantare in italiano per tutto un album abbia aiutato tutti a comprendere meglio la musica del circo zen. Addirittura c'è qualche folle che parla di noi come di un genere musicale a se stante. Io credo che lavorare sulla strada lunga come abbiamo fatto noi, farsi anni ed anni di gavetta di quella mozzafiato, evangelizzare il paese con tour da Testimoni di Geova, sia il modo migliore per guadagnare in personalità.
Guido Siliotto

lunedì 19 ottobre 2009

Line Hoven

Line Hoven, “L’amore guarda da un’altra parte”, Coconino Press, pp. 96 b/n, euro 15
Il tratto è bianco su sfondo nero per questa graphic novel di Line Hoven, illustratrice all'esordio nel fumetto, figlia di un’americana e di un tedesco, che racconta la storia della sua famiglia, con la Seconda guerra mondiale sullo sfondo e i pregiudizi che la Germania hitleriana ha generato negli americani e non solo. Una storia raccontata con taglio delicato, a passo lento, due percorsi paralleli che si intrecciano solo alla fine, quando i genitori di Line si incontreranno e sarà difficile la scelta per un luogo dove vivere. Due generazioni a confronto, l'una che non riesce a dimenticare gli orrori del nazismo, l'altra che guarda avanti, verso un futuro ancora incerto. Un'opera di grande intensità, premio Icom come miglior fumetto indipendente del 2008.
Guido Siliotto

giovedì 15 ottobre 2009

Bad Sector

Bad Sector, “CMASA”, Loki / Power and Steel
Il più recente lavoro discografico pubblicato da Bad Sector, alias Massimo Magrini, è senz'altro atipico rispetto alla sua produzione solita, anche perché è nato da esigenze ben precise, in particolare come colonna sonora dell'installazione “M3M – Marina terzo millennio” curata da Luca Serasini nel 2005, incentrata sul contesto urbano alla foce dell'Arno a Marina di Pisa. Il cd in questione è dunque una raccolta, rimaneggiata ed estesa, delle musiche realizzate per quell'opera e ne è venuto fuori un vero è proprio concept-album attorno alla ex-fabbrica CMASA/Motofides, che stava nel punto in cui il fiume finisce nel mare. L'obiettivo allora è diventato quello di fissare una volta per tutte l'atmosfera di quei luoghi prima dell'inizio dei lavori per il nuovo porto. Le sagome dei retoni diventano i protagonisti di un luogo fisico, ma anche mentale, inevitabilmente carico di nostalgia. Utilizzando il consueto armamentario elettronico assieme a suoni della natura (l'acqua) e strumenti come pianoforte e chitarra acustica, il musicista toscano è riuscito a realizzare così un'opera struggente e davvero affascinante.
Guido Siliotto
INTERVISTA
Massimo Magrini, musicista lucchese d'origine, ma pisano d'adozione, è da tanti anni impegnato in una serie di progetti che lo hanno reso figura di culto della scena ambient-industrial europea.
Puoi tracciare una breve biografia, segnando i punti salienti della tua attività artistica?
A quattordici anni ho iniziato a trafficare con i primi circuiti elettronici “suonanti” autocostruiti, con i quali realizzavo in casa cassette che poi distribuivo agli amici esterrefatti. Poi gli studi tecnici e l’università. Parallelamente a questa iniziai a studiare musica elettronica “seria”, anche se ero coinvolto molto attivamente nella locale scena underground. Erano gli anni della new wave e della prima industrial music. Finita l’università, ho iniziato la collaborazione con il Reparto di Informatica Musicale del CNR, quello dove negli anni settanta Pietro Grossi faceva la sue pionieristiche esperienze musicali coi computer. Tuttavia il virus industrial e post-punk viveva ancora dentro di me e ben presto le competenze tecnico-scientifiche dell’esperienza CNR si sono riversate nel progetto Bad Sector, a quel punto una sorta di fusione fra l’istinto e la ragione. Nel '95 il primo cd, “Ampos”, che ebbe subito un grande riscontro. Da lì in poi, tanti altri dischi e una impegnativa attività live.
In cosa consiste la tua attività al CNR e in che modo questa ha influito sulla tua musica?
In sostanza mi occupo dello sviluppo di applicazioni software per la sintesi ed il trattamento dei segnali musicali e non, oltre che della progettazione di speciali interfacce gestuali per il controllo di queste applicazioni. Si tratta di sistemi che si possono usare per performance musicali e multimediali, ma soprattutto per applicazioni mediche, quali la riabilitazione di soggetti con deficit psichici o psico-motori.
Nel tuo suono si sente l'influenza di una ricerca continua. C'è il rischio che la forma prevalga sulla sostanza?
Beh, nell’arte contemporanea molto spesso il veicolo estetico è la forma e non il contenuto. Capisco però quello che vuoi dire, ma nel mio caso non c’è questo pericolo: la componente emozionale è assolutamente predominante. Poi, in ogni caso, anche essendo a volte estrema, la mia è pur sempre un'operazione “pop”.
È difficile trovare un equilibrio tra uomo e macchina?
E' un problema che non esiste. La macchina fa solo ed esclusivamente quello per cui è istruita, anche gli eventuali margini di indeterminazione nel suo comportamento sono stimabili e classificabili. Se produce cose esteticamente discutibili, dipende solo dall’essere umano che l’ha programmata.
Nei tuoi concerti c'è margine per l'improvvisazione?
Come dicevo prima, cerco sempre di usare, seppure con moderazione, semplici dispositivi autocostruiti connessi al computer, per controllare il suono mentre viene prodotto. Ciò da un lato serve a rendere il tutto visivamente più spettacolare, dall'altro aiuta a sottolineare che la cosa sta avvenendo in quel momento e non è tutto registrato. Ovviamente, essendo nel mio caso il suono assai complesso, è impossibile rigenerarlo completamente dal vivo, quindi uso moltissime basi. Tuttavia, con i dispositivi di cui sopra, oltre che con altri più tradizionali, come piccoli controller Midi o semplici mixer, altero ed arricchisco il suono in modo completamente improvvisato, muovendomi quindi in uno spettro di variazioni espressive di ampiezza paragonabile a quella che può avere uno strumentista che legge una partitura.
Progetti presenti e futuri?
Per quanto riguarda Bad Sector, a parte "CMASA", qualche tempo fa è uscita una compilation di rarità ed inediti in due volumi, “Storage Disk”, per l'etichetta moscovita Waystyx. Negli ultimi tempi, però, mi sono concentrato soprattutto su Olhon, un progetto idato assieme a Zairo - già attivo con gli Where. Creiamo musica d’ambiente utilizzando unicamente rielaborazioni di registrazioni che facciamo personalmente in luoghi spesso estremi: laghi vulcanici, cavità sotterranee o profondità sottomarine, come per il recente “Underwater Passage”. Per compiere queste registrazioni dobbiamo spesso costruire speciali sonde in grado di resistere a condizioni quasi proibitive. I tre lavori finora prodotti uniscono il forte connotato concettuale con un fascino molto particolare: è un suono elettronico, ma quasi “organico”.
Guido Siliotto

lunedì 12 ottobre 2009

Tony Face Big Roll Band

Tony Face Big Roll Band, “Old Soul Rebel”, Area Pirata
Torna Tony Face, alias Antonio Bacciocchi, che dei Not Moving fu batterista: eccolo con un cd nuovo di zecca, pubblicato dalla pisana Area Pirata, con cui celebra il proprio orgoglio mod con la complicità di alcuni nomi di lusso della scena d'oltremanica. Sul piatto, cover di gemme più o meno nascoste del soul e del punk, tra chitarre e hammond suonati con passione e convinzione, un repertorio che va dai Beatles a Gil Scott Heron, da Ray Charles a Sly Stone, fino agli Husker Du. Bello ed intenso.
Guido Siliotto

Not Moving

Not Moving, “Black'n'wild / Sinnermen”, Spit/Fire
Primi anni ottanta, un nome sta incendiando il nuovo rock italiano: è quello dei Not Moving, che coi loro concerti impazzano sue giù per la penisola. Vista la passione del pubblico, è chiaro che ci vuole un disco, ma è meglio cominciare con un ep, poi si vedrà. Nell'85 esce “Black'n'wild” ed è subito punk'n'roll di quello tosto, cinque tracce grezze e sfrontate al punto giusto. Passa poco più di un anno ed arriva finalmente il primo album: si chiama “Sinnermen” una delle migliori uscite tricolore di quel decennio. Mai prima d'ora su cd, questo pezzo di storia viene riproposto dalla stessa etichetta di allora, la fiorentina Spittle, nel mixaggio originario, il tutto arricchito da quattro outtakes.
Guido Siliotto

Pentti Otsamo

Pentti Otsamo, “Homunculus”, Black velvet, pp. 64, b/n, euro 9 Il finlandese Pentti Otsamo, classe 1967, si è da tempo imposto sulla scena scandinava grazie a uno stile semplice, ma particolarmente carico di contenuti. Lo dimostra anche il recente “Homunculus”, pubblicato in Italia da Black Velvet, una sessantina di pagine per raccontare una storia che trae spunto dall'episodio di una gravidanza inattesa. È l'occasione per indagare sugli effetti nel cuore e nella mente di lei, ma anche di lui. Le gioie, i problemi, le paure, gli incubi, i tradimenti. Lei, artista, che si immedesima nel ruolo di madre, lui, autore di videogiochi, che cerca di sfuggire, senza troppa convinzione, alle responsabilità. I ruoli sono forse un po' stereotipati, ma Otsamo s'era prefissato un compito difficile e lo ha svolto con bravura, pudore ed onestà.
Guido Siliotto

Great Complotto

AA. VV., “The Great Complotto”, Shake, pp. 68 +cd, euro 17
Italia, fine anni settanta. Mentre fuori esplode il punk, ci pensa una cittadina del nord-est a regalare una delle più brillanti interpretazioni di quel fenomeno. A Pordenone, i ragazzi si vestono in modo strano, cominciano a ritrovarsi, a prendere in mano gli strumenti e a suonare assieme. Nasce una vera e propria scena: allegra, rivoluzionaria, brillante. Tra verità e leggenda, il libro curato da Shake – che martedi sarà presentato alle 18 presso la libreria Mel Bookstore a Firenze - ripercorre in maniera frammentaria ma stuzzicante le tappe di quel breve momento: il celebre disco di HitlerSS e Tampax e il loro concerto “di cartone” a Londra, lo stato di Naon, la Tequila e molto altro. Il cd allegato è la ristampa della seminale compilation uscita all'epoca – più un video e la fanzine in pdf - ed è assolutamente da non perdere.
Guido Siliotto

Passe Montagne

Passe Montagne, “Oh My Satan”, Africantape
Math-rock? Sì, grazie... anzi no. Insomma, il nuovo disco dei Passe Montagne, in una ipotetica catalogazione, finirebbe facilmente nella cartellina “noise” o, appunto, “math-rock”. Eppure, ciò che lo caratterizza, è la voglia di svincolarsi da schemi troppo rigidi, andare avanti, ma guardando indietro. Infatti, il trio (Gilles Montaufray e Samuel Cochetel alle chitarre e Julien Fernandez alla batteria), per dare un seguito all'esordio di tre anni fa (“Long Play”), decide di fare riferimento nientemeno che all'hard-rock degli anni settanta. Scelta consapevole, ovvio, ma senz'altro dettata da insane passioni e, perché no, dalla stanchezza di trovarsi per forza inseriti in un rigido contesto. Tutte cose che fanno bene alla musica e infatti questo “Oh My Satan” è disco ottimo, dove grinta e qualità rendono al meglio, supportati da tante buone idee. Se poi aggiungiamo che i tre vivono sparsi per il mondo (Italia, Francia e Colombia) e s'incontrano di rado, se le occupazioni di ciascuno lo permettono, ma quando suonano assieme ottengono risultati di questo livello, c'è da confidare nelle compagnie aeree. Cento di questi dischi.
Guido Siliotto

Mattia Coletti

Mattia Coletti, “Pantagruele”, Wallace / Towntone
Mattia Coletti è ragazzo di grande talento e lo dimostra anche con questo nuovo cd, pubblicato da Wallace Records in combutta con l'etichetta giapponese Towntone. È il seguito del già ottimo “Zeno”, ma stavolta Coletti dimostra di avere affinato la tecnica e, perchè no, di aver fatto maturare meglio le proprie idee. Chitarrista abile e raffinato, propone in questo mini album (6 tracce per una ventina di minuti di musica) un campionario delle sue qualità e, appunto, una bella dimostrazione di quale sia il suo approccio alla composizione. Dall'introduzione delicata con “L'angolo rosso della civetta”, che omaggia il maestro – di tanti – John Fahey, arriva a elaborare vere e proprie canzoni dove, accanto alla sei corde, fanno capolino gli altri strumenti, piano, clarinetto, batteria, discreti nell'assecondare le docili tessiture di Mattia, che, senza perdersi neppure in qualche momento più sperimentale (il rincorrersi di chitarra e percussioni su “The Bed Is Over The Rainbow”), ha realizzato un disco che, pur nella sua brevità, rappresenta un tassello importante per una ancora giovane, ma assai promettente vicenda artistica.
Guido Siliotto

giovedì 8 ottobre 2009

Julie Doucet

Julie Doucet, “My New York Diary”, Purple Press, pp. 112, b/n, euro 13,90
Non aspettatevi una panoramica della scintillante Grande Mela anni novanta. La New York di Julie Doucet è fatta di interni: stanze fatiscenti, letti sfatti, disordine. E poi droghe, epilessia, insicurezza cronica. E, infine, un amore impossibile: soffocante e opprimente. Con questi ingredienti ne poteva venire fuori un drammone maudit e invece l'autrice canadese racconta semplicemente - in bianco e nero (più nero che bianco, per la verità) - tutta la verità, solo qualche omissione ogni tanto (come confessa nell'intervista alla fine del volume). Nelle pagine del suo diario, con acuta ironia e un pizzico di sarcasmo, le quotidiane, piccole difficoltà di una ragazza particolarmente sensibile. Dopo il successo di questo lavoro, finalmente disponibile in Italia grazie a Purple Press, la Doucet ha ben presto deciso di abbandonare il fumetto e dedicarsi all'arte contemporanea.
Guido Siliotto

Pissed Jeans

Pissed Jeans, “King Of Jeans”, Sub Pop
Arrivano alla terza prova, assai attesa, i Pissed Jeans. Anche stavolta è la leggendaria Sub Pop, l’etichetta-chiave del grunge, a dare fiducia a questi quattro ragazzoni della Pennsylvania, sempre fieri del nome assurdo che hanno scelto per la propria band. “King Of Jeans” prosegue sulla rotta che già li fece apprezzare, eccome, per il precedente “Hope For Men”, che proponeva, con un occhio al passato, una insana miscela di hard-rock, punk e noise. Non è possibile neppure per queste nuove tracce segnalare grosse novità: ancora ben in evidenza la voce sguaiata di Matt Korvette, mentre la sezione ritmica si conferma granitica e implacabile. Al solito, la chitarra genera una discreta quantità di riff sopraffini, abrasivi al punto giusto. Insomma, ciò che ancora una volta colpisce è la capacità di scrivere grandi canzoni e la facilità con cui queste riescano a farsi spazio pur nel deflagrante pandemonio generato dal combo.
Guido Siliotto

Daniele Brusaschetto

Daniele Brusaschetto, “Blasé”, Bosco
Si addice eccome il titolo di questo nuovo cd alla produzione artistica di Daniele Brusaschetto. Blasé, disincantato, indifferente: aggettivi che rappresentano il suo percorso artistico, per nulla incline alla ribalta se non per quanti siano davvero propensi a porgere attenzione a questo tesoro nascosto del rock italiano, uno degli autori più sensibili e sinceri. Ma è una condizione di invisibilità che sembra inevitabile, peraltro coltivata da un'indole che non ama esibizionismi, nonostante una carriera ormai lunga e l'incessante attività live in Italia e all'estero. Ecco che, allora, il suo più recente cd – pubblicato per la sua etichetta personale, in una confezione fatta a mano, copertina cartonata e un capello incollato sopra - esce in sole 78 copie. È il “sunto di una decade”: due canzoni nuove e altre sette riviste secondo la nuova sensibilità che caratterizza la produzione più recente di Daniele, acustica ed intima. Un disco bellissimo.
Guido Siliotto

martedì 22 settembre 2009

Egle Sommacal

Egle Sommacal, "Tanto non arriva", Unhip
Una chitarra acustica. Era questo l'ingrediente unico del magnifico esordio solista di due anni fa (“Legno”) firmato da Egle Sommacal, noto ai più per gli illustri trascorsi nei Massimo Volume. Il suo ritorno discografico, ancora sotto la protezione della sempre più autorevole etichetta bolognese Unhip (suoi anche gli ultimi Giardini di Mirò e The Zen Circus, per intenderci) è ancora una volta opera di straordinaria bellezza. Semplice, anche in questa occasione, la messa a fuoco: solo chitarra elettrica e fiati (sax tenore e contralto, tuba e bombardino). Non c'è altro, ma che musica! Singolare e ardito l'assortimento della formazione, ma Sommacal, ispirato per sua stessa ammissione dalle marce funebri delle bande jazz di New Orleans, raggiunge esiti davvero inaspettati. Il potere evocativo di queste tracce, interamente strumentali, è elevatissimo e questo è uno di quei dischi, rari, che mettono d'accordo senza fatica sperimentazione e comunicatività. Ne siamo certi fin d'ora: in un'ipotetica classifica di fine anno, “Tanto non arriva” merita di svettare. Bello alto.
Guido Siliotto

Squartet

Squartet, “Uwaga!”, JazzcoreInc.
In pista dal 2004, Squartet è un trio romano formato da Fabiano Marcucci al basso, Marco Di Gasbarro alla batteria e Manlio Maresca alla chitarra – più Francesco Fazzi al mixer. La loro casa si chiama JazzcoreInc, collettivo di musicisti ed etichetta, che ha licenziato ormai quattro anni fa il cd d'esordio, omonimo, e ora ci propone il seguito, dall'onomatopeico titolo "Uwaga!". Per chi non ama le catalogazioni e apprezza invece la musica senza confini, questo è il disco perfetto. È punk, è jazz, è noise, è funk: tutto questo compare, scompare e riappare di continuo nel suono del trio, per una miscela avvincente e assai godibile, così brillante negli incastri quanto temibile nel mostrare i muscoli. Dal vivo, del resto, sono micidiali (hanno condiviso il palco con Mike Watt, Melt Banana e Zu), ottimi musicisti, ma lontani dagli esasperati tecnicismi: li abbiamo intercettati all'ultimo Tagofest, dove hanno sfoggiato, oltre alle qualità peraltro già intuibili su cd, anche una sempre apprezzabile ironia.
Guido Siliotto

martedì 15 settembre 2009

Timber Timbre

Timber Timbre, “Timber Timbre”, Arts & Crafts
Dietro lo pseudonimo Timber Timbre si cela Taylor Kirk, giovane musicista canadese, che arriva con questo nuovo cd omonimo alla terza prova, dopo due album autoprodotti. Pubblicato da un'etichetta di culto come Arts & Crafts, è un disco che ha tutte le carte in regola per scuotere l'attenzione e lanciare definitivamente questo nome tra i più interessanti in circolazione. Considerazioni evidenti fin dal primo ascolto di un album che si muove in ambito blues, ma l'atmosfera che lo caratterizza è tanto evocativa da sfuggire ai soliti canoni ed è lo stesso autore a fornirci una possibile chiave di lettura, parlando di un improbabile “gothic rockabilly blues”. Definizione che, grosso modo, coglie nel segno. Tutto nasce con grande semplicità: bastano una voce confidenziale, chitarra e percussioni, qualche pennellata di archi e tastiere, per un suono minimale, ma davvero intenso. Pochi gli ospiti e un produttore esperto, ma si capisce che il buon Taylor – che gode in patria già di una discreta fama, scartato per un soffio dalla “short list” delle nomination al prestigioso Polaris Music Prize - ama fare le cose per conto proprio. Finché gli riescono così bene, perché chiedere di più?
Guido Siliotto

martedì 8 settembre 2009

Frànçois & The Atlas Mountains

Frànçois & The Atlas Mountains, "Plaine Inondable", Talitres
In pista dal 2003 come una sorta di menestrello tra folk e campionamenti, Frànçois Marry si muove da Bordeaux a Bristol in cerca di fortuna e in qualche modo la trova, collaborando con glorie locali come Movietone e Crescent, oltre agli scozzesi Camera Obscura, fino a realizzare un cd-r autoprodotto ("Les Anciennes Falaises"), seguito da un primo cd pubblicato con il gruppo Atlas Mountains ("The People to Forget" del 2006). Il nuovo album "Plaine Inondable" sarà a breve nei negozi per l'etichetta francese Talitres e, per registrarlo, il nostro si è accompagnato anche con il quintetto polifonico basco Bost Gehio e membri di Unkle Jelly Fish. Dotato di una voce particolarissima, che colpisce e pian piano seduce, Frànçois ha le idee chiare su come muoversi in territori che rimandano all'affollato panorama alt.country e alle desert-songs di certo cantautorato americano. Musica riflessiva ma mai noiosa, arrangiamenti vellutati e qua e là giocosi, un incedere senza fretta. Alla fine sarà pur vero che di dischi così ne abbiamo ascoltati a bizzeffe, ma resta il fatto che le tracce contenute in "Plaine Inondable" sono davvero capaci di lasciare il segno.
Guido Siliotto

St.ride

St.ride, “Compassione e risentimento”, Niente
Dopo quel compendio numero uno che ancora frigge nel nostro lettore, secondo volume per Niente Records, anche stavolta con la copertina a specchio e nessun titolo né indicazioni sul contenuto. Che però sveliamo subito: si tratta di “Compassione e risentimento”, nuovo cd firmato St.ride, magnifico duo genovese giunto ad una nuova tappa di un percorso che, francamente, ci intriga parecchio. Musica sperimentale quella creata da Edo Grandi e Maurizio Gusmerini: cura dei suoni, un uso molto particolare della voce, ritmi decostruiti, rumori vari. A questi ingredienti si uniscono le doti dei migliori alchimisti: idee chiare e voglia di nuovi percorsi. Ed è così che la band arriva a realizzare il suo disco più deflagrante e liberatorio, da ascoltare a volume altissimo. Grumi di suono, clangori a tratti insostenibili, ma con una dinamica che tiene lontano lo spettro della ripetitività e della violenza fine a se stessa. E poi quel pizzico di ironia che mai guasta.
Guido Siliotto

mercoledì 22 luglio 2009

mercoledì 8 luglio 2009

Paolo Spaccamonti

Paolo Spaccamonti, “Undici pezzi facili”, Bosco
È un disco affascinante questo realizzato dall'esordiente Paolo Spaccamonti, un nome che però ben poco s'addice alle note contenute in “Undici pezzi facili”. No, davvero. La musica di Spaccamonti nasce dalle sue chitarre, protagoniste assolute di ogni brano, elettriche od acustiche. L'atmosfera cambia traccia dopo traccia, ma c'è sempre una certa voglia d'essere riflessivo, intimo, non incline ai colpi di teatro. Le cose procedono con grande naturalezza, anche se c'è un grande lavoro di stratificazioni in questi undici gioielli strumentali. Bene quando fa tutto da solo, come nell'introduttiva “Camicia gialla, cravatta nera” (forse quelle indossate nel ritratto all'interno del cd, che lo vede seduto su una panchina, da solo a testa bassa) e nelle tre parti di “Fine della fiera”, ancora meglio quando si avvale di alcuni ospiti: Ezra per i battiti dell'ottima “Vertigo”, incline all'elettronica, il violoncello di Beatrice Zanin e Paola Secci in “Tex” e nella conclusiva, languida “Lamento”, fino alle manipolazioni in “Soli tutti” realizzate da Daniele Brusaschetto, che ha registrato e prodotto il cd e che ringraziamo per averlo fatto uscire per la propria etichetta.
Guido Siliotto

mercoledì 1 luglio 2009

Tagofest 5

Cinque candeline per il Tagofest, il festival delle etichette indipendenti in programma presso il Tago Mago (Massa - via Stradella, 20) da venerdi 3 a domenica 5 luglio. Anche stavolta, grande festa della musica, con la presenza delle migliori realtà della scena italiana, ciascuna con il proprio banchetto dove sarà possibile acquistare dischi e altro materiale, mentre nello spazio interno del locale si esibiranno i gruppi e gli artisti, in una no-stop dal pomeriggio a notte inoltrata, salvo l'anteprima solo serale di venerdi (per maggiori dettagli: www.myspace.com/tagofest). Ne parliamo con Gianmaria Aprile, uno degli organizzatori, già musicista con Ultraviolet Makes Me Sick e boss dell'etichetta Fratto9 Under The Sky.
Cinque anni di Tagofest. Un bilancio.
Per un festival nato per mettere assieme un po' di gente del circuito, ritrovarsi oggi alla sua quinta edizione vuol dire che qualcosa ha funzionato. L'attenzione da parte degli "addetti ai lavori" e del pubblico è stata esponenziale. Se nelle prime due edizioni la critica più sentita era quella che al Tagofest c'erano soltanto sempre le stesse persone/etichette, oramai non vale più. E' normale che si inizi nel piccolo, quando si lavora in un circuito già di per sé chiuso un po' in se stesso, ma noi non abbiamo mai voluto sbattere le porte in faccia a nessuno e così siamo riusciti ad avere in questi anni più di 100 gruppi/progetti diversi e altrettante etichette, chiamate a rappresentare gli stessi gruppi che si sono esibiti all'interno del Tago Mago. Vuole rimanere un festival per le etichette indipendenti, per incontrarsi, per scambiarsi il materiale, per confrontarsi e per far nascere nuove idee. Poi, all'interno del festival c'è occasione, per alcune dei loro, di far esibire uno dei propri gruppi in catalogo, freschi di uscita discografica. Direi che questo è il succo della nostra "politica". A parte il metal, il punk e tutto quello che è rock "normale", ci puoi trovare di tutto, dall'elettronica al noise, dal free-rock al jazz fino all'hardcore.
Tutto questo entusiasmo e questa ricchezza di proposte sembrano in controtendenza rispetto alla grave crisi dell'industria del disco, che, inevitabilmente, coinvolge anche le piccole realtà.
Non per dire le solite cose, ma di dischi non se ne vendono, da nessuna parte. Semmai, rimangono ancora un po' di persone attente e amanti di prodotti underground, che comperano ancora qualcosa. Come hai potuto notare c'è un forte ritorno del vinile, che diventa anche un "oggetto" e non solo un supporto musicale, forse anche perchè è l'unico davvero non duplicabile e quindi si è costretti a doverne comperare una copia per tenerlo in casa e ascoltarlo su quel magico strumento che è il giradischi (mentre rispondo a queste domande, sulla piastra gira vorticosamente un vecchio Lp di Claudio Rocchi, per non smettere di alimentare il freakkettone che è in me). Il problema rimane sempre quello di riuscire ad "educare" la gente ad un ascolto che non sia superficiale e a smetterla di considerare un suono non convenzionale come una maledizione da cui tenersi molto lontani. E poi bisogna lottare per avere un po' di visibilità e attenzione in più, anche da parte della critica, ma è ovvio che le riviste non potranno mai mettere in copertina un gruppo underground, altrimenti non venderebbero sufficienti copie per sopravvivere, e se pensiamo che Rumore vende 5000 copie o poco più siamo praticamente fregati! Credo sempre nella stampa alternativa e nella libertà di espressione della Rete, fino a quando ce la lasceranno avere, anche se purtroppo tutti si improvvisano critici-recensori senza avere una cultura musicale sufficiente per poterlo fare e allora ci si ritrova ad avere dischi recensiti bene quando in fondo si tratta di materiale poco interessante... In pratica è un disastro!
Un tuo giudizio sulla scena italiana.
Penso che ci siano tantissimi dischi e tantissimi gruppi/progetti interessanti e validi. Vale anche il suo contrario, ovvero che nel marasma c'è sempre da dover selezionare, cercare, spulciare e guardarsi sempre in giro, essere curiosi e interessati. E allora le cose belle si trovano per davvero, con gruppi che potrebbero persino riuscire a crearsi un buon percorso musicale. In questo caso, il confronto con altre realtà e con persone che fanno le tue stesse cose sia fondamentale per migliorarsi. E questo è anche uno dei motivi per cui organizzo il Tagofest.
Come ci vedono all'estero? Le potenzialità ci sono, ma quanti sforzi vengono effettivamente fatti per farsi ascoltare anche fuori dal proprio condominio?
Ormai i confini non esistono più e non so dire se sia un bene o un male. Per la mia etichetta, come per molte altre, penso sia ormai normalissimo vendere dischi dall'altra parte del mondo, come all'amico o al vicino di casa. Come tutti ben sanno esistono diverse community dove condividere musica, anche se non è sempre una buona cosa, visto che in un modo o nell'altro la rete si sta pian piano riempiendo di materiale superfluo e di gruppi/etichette che prendono molto alla leggera certe attitudini o che molto spesso ne cavalcano l'onda.
Forse l'unica cosa che può ripagare uno sforzo è quello di cercare di rimanere sul mercato il più possibile, mantenendo sempre fede alla propria etica e attitudine. Ne sono un esempio lampante etichette come Wallace, Bar La Muerte e molte altre, che, negli anni, con alti e bassi, hanno sempre cercato di andare avanti e che per qualche motivo, ancora sconosciuto a noi, gli è andata bene. Che poi vuol dire purtroppo riuscire a rientrare nelle spese sostenute per far uscire un disco e poi reinvestirle per il prossimo! Del resto stiamo vivendo in un momento musicale/commerciale molto particolare, il mercato e le innumerevoli possibilità che ci dà la tecnologia spesso ci portano a sprecare energie e a non riuscire a far focalizzare l'attenzione del possibile acquirente sui prodotti validi. Tra dischi, cdr, netlabel e brani on-line samo completamente sommersi. Poi il tempo farà il suo dovere e ci sarà una selezione naturale.
Musicista e discografico: ma chi te lo fa fare?
La passione, l'incoscienza e l'amore per una forma d'arte che non ha confini e limiti di nessun genere. L'essere onnivori in musica penso sia stimolante e che serva per alimentare lo spirito e le idee. C'è una altissima percentuale di etichette che vengono gestite da persone che allo stesso tempo fanno musica, o che quantomeno in passato ci hanno provato. Da musicista ascolto di tutto e anche da discografico (che parolone che mi fai usare!!!). Il bello di stare da entrambe le parti della barricata è che si conoscono tutti i meccanismi, il piccolo giro di soldi che c'è, le spese che ci sono dietro alla stampa di un cd/vinile e quindi come anche etichette che si spacciano come indipendenti siano delle grandissime fregature!
Guido Siliotto

giovedì 18 giugno 2009

Niente Records

AA.VV., “Volume 1”, Niente Records
Il cd arriva in una confezione di plastica nera che puzza di petrolio. Sopra c'è incollata una carta-specchio con su il nome dell'etichetta e il titolo, “Volume 1”. L'etichetta si chiama Niente Records e dietro ci sono gli st.ride, tra i meglio nascosti tesori dell'underground italiano. Questo è il manifesto per le future produzioni: con tale marchio, infatti, oltre i prossimi album del duo genovese, usciranno alcuni dischi firmati dagli artisti presenti nel cd in questione. Ma di chi si tratta? Sulla copertina non c'è scritto, per saperlo bisogna spedire una e-mail a nienterecords@gmail.com. La stessa cosa avverrà coi prossimi dischi, “per sottolineare l'importanza del contenuto in sé”, spiegano. Ad ogni modo, il segreto ve lo sveliamo volentieri, certi di stuzzicare la curiosità di chi legge citando – tra gli altri – vonneumann, st.ride, M16, Lendormin, Jealousy Party, A Spirale, Harshcore, I Placca e Renato Ciunfrini. Stiamo parlando della crema di certa scena sotterranea, sperimentale e creativa, capace qui di dare il meglio, forse anche per la bravura dei compilatori, che hanno cercato la via dell'omogeneità, specie sul versante del suono. Improvvisazione sfrenata, elettronica corrotta, dolci clangori e ritmi decostruiti. Un disco elettrico ed elettrizzante, carico di quel rumore che fa bene al cervello.
INTERVISTA A MAURIZIO GUSMERINI
Cos'è Niente Records?
E' prima di tutto l'etichetta degli st.ride e si occuperà delle nostre prossime uscite, ma intendiamo dare spazio anche ad altri artisti. L'idea è darle un'impronta che rifletta la nostra visione musicale, anche dal punto di vista del suono, un aspetto di solito poco curato, mentre in realtà avrebbe bisogno di approfondite valutazioni. Per noi è importantissimo trovare la resa sonora ideale in rapporto alla proposta musicale.
Volume 1 è un po' il manifesto dell'etichetta, giusto?
Direi di sì, lo ritengo già piuttosto esplicativo: il cd è composto da una serie di brani forniti da artisti profondamente diversi tra loro per logiche operative ed obiettivi, tipologie strumentali e sistemi produttivi, quindi niente incasellamenti di genere, ma una scelta basata sulla qualità e soprattutto sulla personalità e sull'originalità dei partecipanti.
Lavorerete ancora con loro?
Non sono sicuro che i gruppi presenti nella raccolta pubblicheranno dei lavori completi per la nostra etichetta, mi pare che siano quasi tutti piuttosto ben sistemati con con le loro label. Diciamo che sono stati molto gentili a partecipare all'iniziativa con entusiasmo e con brani di grande qualità.
La confezione del cd non contiene la lista dei brani.
Le segnalazioni in copertina indicheranno sempre e solo il nome dell'etichetta ed il numero progressivo di uscita. La tracklist non fa parte della confezione perché vogliamo sottolineare l'importanza del contenuto in sé, una raccolta di brani su un pezzetto di plastica che formano nell'insieme una proposta d'ascolto, ma viene fornita via e-mail a chiunque la richieda, quindi non deve restare per forza nascosta, è solo spostata al di fuori del packaging.
Ma perché la confezione ha quest'odore così insopportabile?
Della puzza non mi ero accorto subito, saranno le sigarette... Immagino che, data la provenienza cinese delle confezioni, siano state prodotte con materiali "da discarica", oppure si tratta di una reazione chimica con il materiale adesivo applicato sotto lo specchio. Non so, comunque non mi dispiace la copertina in “odorama”. Trovo che sia una puzza confacente al contenuto!
Guido Siliotto

Vonneumann

Vonneumann, “Il de' metallo”, Ebria
Nel contesto dell'annosa quanto complessa ed irrisolta questione circa i rapporti tra composizione e improvvisazione, che spesso s'intrecciano e si confondono, ecco che i vonneumann, da sempre impegnati a dirimere la matassa, tentano la carta della soluzione estrema: anziché fare un disco che metta d'accordo entrambe le istanze, perchè non farne due, uno d'improvvisazione e l'altro di vere e proprie canzoni? Quello che abbiamo tra le mani, “Il de' metallo”, risponde alla prima delle due esigenze ed è, infatti, disco dove i musicisti sono entrati in studio senza neppure sapere cosa avrebbero poi suonato, salvo le aspettative che ciascuno riponeva nell'ormai decennale reciproca frequentazione. Ad ogni modo, la tendenza è stata quella di impegnarsi a trovare un'intesa, mettendo al centro un giro di basso o un qualsiasi altro appiglio, su cui poi intessere le proprie tele. La libertà espressiva, spinta al massimo, diventa impossibile da incatenare e l'ascolto si fa attento, ma oltremodo stimolante e avventuroso. A questo punto, grande attesa per “Il de' blues”, l'album di canzoni – ma sarà poi vero? - in uscita a breve.
Guido Siliotto

lunedì 8 giugno 2009

Quasiviri

Quasiviri, “The Mutant Affair”, Wallace / Megaplomb
È addirittura biblico il riferimento, nel nome della band come nell’apocalittica copertina. Quasiviri è la ditta che mette assieme André Arraiz-Rivas, batterista canadese trapiantato all’ombra della Madonnina, con due schegge impazzite dell’underground italiano: Chet Martino, basso a otto corde, già nei mai dimenticati Pin Pin Sugar e ora membro dei Ronin, e Roberto Rizzo, tastiera / voce proveniente dai R.U.N.I.. I tre, inutile dirlo, si divertono un mondo e fanno di tutto per far divertire anche noi che ascoltiamo. Ci mettono i muscoli e una giusta dose di ironia, scegliendo una formula piuttosto semplice: brani pressoché strumentali, salvo qualche coretto demenziale, basati sull’interazione grintosa tra un’implacabile quanto creativa sezione ritmica e le tastiere acidissime e cafone, che intessono le loro improbabili melodie innestando così, su una superficie tra hard-rock e jazz-core, un godibile piglio pop. Un’alchimia che richiama in qualche modo le gesta di grandi band di Washington DC, da El Guapo a Trans Am, in particolare riprendendo, con personalità, il gusto di rovistare nella pattumiera del rock per riciclarne proficuamente le scorie.
Guido Siliotto