Timber Timbre, “Timber Timbre”, Arts & Crafts
Dietro lo pseudonimo Timber Timbre si cela Taylor Kirk, giovane musicista canadese, che arriva con questo nuovo cd omonimo alla terza prova, dopo due album autoprodotti. Pubblicato da un'etichetta di culto come Arts & Crafts, è un disco che ha tutte le carte in regola per scuotere l'attenzione e lanciare definitivamente questo nome tra i più interessanti in circolazione. Considerazioni evidenti fin dal primo ascolto di un album che si muove in ambito blues, ma l'atmosfera che lo caratterizza è tanto evocativa da sfuggire ai soliti canoni ed è lo stesso autore a fornirci una possibile chiave di lettura, parlando di un improbabile “gothic rockabilly blues”. Definizione che, grosso modo, coglie nel segno. Tutto nasce con grande semplicità: bastano una voce confidenziale, chitarra e percussioni, qualche pennellata di archi e tastiere, per un suono minimale, ma davvero intenso. Pochi gli ospiti e un produttore esperto, ma si capisce che il buon Taylor – che gode in patria già di una discreta fama, scartato per un soffio dalla “short list” delle nomination al prestigioso Polaris Music Prize - ama fare le cose per conto proprio. Finché gli riescono così bene, perché chiedere di più?
Guido Siliotto
Dietro lo pseudonimo Timber Timbre si cela Taylor Kirk, giovane musicista canadese, che arriva con questo nuovo cd omonimo alla terza prova, dopo due album autoprodotti. Pubblicato da un'etichetta di culto come Arts & Crafts, è un disco che ha tutte le carte in regola per scuotere l'attenzione e lanciare definitivamente questo nome tra i più interessanti in circolazione. Considerazioni evidenti fin dal primo ascolto di un album che si muove in ambito blues, ma l'atmosfera che lo caratterizza è tanto evocativa da sfuggire ai soliti canoni ed è lo stesso autore a fornirci una possibile chiave di lettura, parlando di un improbabile “gothic rockabilly blues”. Definizione che, grosso modo, coglie nel segno. Tutto nasce con grande semplicità: bastano una voce confidenziale, chitarra e percussioni, qualche pennellata di archi e tastiere, per un suono minimale, ma davvero intenso. Pochi gli ospiti e un produttore esperto, ma si capisce che il buon Taylor – che gode in patria già di una discreta fama, scartato per un soffio dalla “short list” delle nomination al prestigioso Polaris Music Prize - ama fare le cose per conto proprio. Finché gli riescono così bene, perché chiedere di più?
Guido Siliotto
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