giovedì 29 ottobre 2009

The Zen Circus

The Zen Circus - intervista ad Andrea Appino
“Andate tutti affanculo” (Infecta / Unhip / La Tempesta) è l'ultimo disco del trio pisano, il più maturo e, in una parola, il più bello di una carriera sempre in ascesa. Un cd che, a poco più di un mese dall'uscita, sta ottenendo ottimi riscontri, sia di critica che di pubblico. La band è riuscita a realizzare il suo disco più personale da un punto di vista musicale, ma ciò che colpisce sono le liriche, tutte in italiano, una scelta inedita, che manifesta la necessità di parlare a questo paese. due chiacchiere con Andrea Appino, voce e chitarra, autore delle canzoni.
Tutti affanculo. Ma tutti chi?
Il titolo dell'album è chiaramente una provocazione e fin dal momento della sua genesi ci siamo preparati ad aspre critiche. Ma ci fa piacere che sia il pubblico sia gli addetti ai lavori hanno capito quasi subito di cosa si tratta. “Andate Tutti Affanculo” è l'offesa più generalista, qualunquista e vaga che si possa dire oggi, eppure è la più usata quando ci si sente soli, impotenti e non si riconoscono più gli amici dai nemici. Nel disco ci sono dieci brani che sono dieci ritratti del qualunquismo che vige oggi sotto il falso nome dell'uomo qualcuno, citando Caparezza. Noi siamo solo i medium, a raccontarsi sono questi personaggi che sono fotografati senza alcuna morale e quindi volgari e violenti come l'Italia di oggi. Ma anche patetici e poetici, come piaceva a Pasolini. E non solo l'italia della provincia, ma anche e sopratutto l'italia delle più alte cariche istituzionali in confronto alle quali gli Zen Circus e la loro volgarità appaiono come dei chierichetti alle prime armi.
Il passaggio all'italiano, dopo aver fatto un cd in 4 lingue diverse, si legge come la necessità di parlare a questo paese. Il contenuto dei testi, del resto, testimonia un j'accuse a 360 gradi. Il momento è grave, però non sono in tanti quelli che hanno le palle per affrontare la realtà, in politica, così come anche nell'arte. Che ne pensi?
Da una parte pensiamo anche noi che ci sia troppa poca sostanza, dall'altra capisco chi crede fermamente che la musica debba stare lontana dalla “politica” o in generale dal prendere posizioni sulla società in cui nasce e rimanere puro entertainment; pensa al rock'n'roll ed il country americano più atavico che è nato reazionario, fondamentalmente razzista e pro-estabilshment. Ma è poi diventato l'arma preferita di chi quel mondo lo voleva contestare e cambiare. Infatti la gente ti cambia intorno, l'aria si fa pesante, il divertimento puro lascia l'amaro in bocca e c'è bisogno di dire le cose come stanno, o almeno, di fotografare - come dicevo sopra - quello che abbiamo intorno a noi e le reazioni degli altri rispetto al vivere oggi. D'altronde è sempre stato così nell'arte: vive per sempre solo quando definisce appieno l'epoca in cui è nata e le sue contraddizioni, ma senza restarne troppo invischiata.
Sotto accusa c'è anche la generazione di chi ha superato i trent'anni, un po' vittime un po' carnefici di se stessi.
Assolutamente si, anche perchè sotto accusa ci siamo noi in primis. Ed anche perchè sono i miei coetanei, quindi una delle mie principali fonti d'ispirazione per le liriche. E' una generazione partita col botto nei '90, ma la realtà è che siamo cresciuti come individui negli anni '80 e il berlusconesimo ci ha imboccati, coccolati e viziati ben prima di diventare quello che è oggi. Odio guardare indietro, è il mio più grande cruccio: i miei coetanei guardano indietro con nostalgia a momenti della vita in cui le responsabilità non erano così pesanti. Ma come?! Io trovo che sia proprio la responsabilità a fare della vita una cosa che vale la pena: mi assumo tutte le responsabilità, non voglio tornare un pulcino imbevuto di sbornie ormonali, io sono un uomo e la libertà più grande sta nel decidere da solo quello che sono! La nostalgia porta a brutte cose, in primis a ripetere gli errori del passato, ma il passato dev'essere invece un grande lago di conoscenza dal quale scegliere con attenzione cosa pescare e cosa no.
“Canzone di Natale”, il pezzo che chiude il cd, mi ha fatto pensare al vostro più grande pregio, ma anche al più grande difetto (?). Nel momento in cui poteva diventare un brano serio, poetico, amaro, disperato, ci mettete dentro un siparietto comico, una chiacchierata con lo spacciatore, che stempera la tensione e si presta a farsi male interpretare come un ammiccamento. Ecco, dite e fate cose serie, ma non vi prendete sul serio? Siete coscienti del continuo fraintendimento a cui vi esponete?
Il brano è stato scritto nel 2001 da me ed Aldo Acerbi, un nostro grande amico e collaboratore al tempo. Era già stato registrato una volta ed il finale è sempre stato così, lo abbiamo riproposto esattamente come era nato, come ci piaceva. Capisco cosa intendi, mi viene in mente il documentario su Bobo Rondelli di Virzì che ho visto ultimamente dove si parla proprio di questo: questi toscani la cui ironia, strafottenza ed il prendersi troppo poco sul serio taglia le gambe artisticamente nel resto del paese. Vero, verissimo, ma non per noi. Noi crediamo di essere completamente fuori da questo meccanismo, la Toscana non è nemmeno la regione dove andiamo meglio ed è fra quelle dove suoniamo di meno. L'ironia tipica delle nostre parti è però fondamentale nella poetica degli Zen e quella telefonata viene ripetuta ad ogni concerto come un momento liberatorio dopo un'ora di tensione musicale. Stessa cosa nel disco, che viaggia su binari serissimi e decisamente incazzati fino a frangersi in una risata – amarissima - quando Abdul ci ricorda che è mussulmano e che non gliene frega niente del Natale. E poi lasciami dire che essere fraintesi, per un gruppo che intitola il proprio disco più importante “Andate Tutti Affanculo” non deve essere un problema troppo grande.
Del resto siete rimasti indipendenti pur con evidenti possibilità di fare scelte diverse, come smussare certe asperità e fare carriera. Anche qui: una scelta o una necessità?
Guarda, paradossalmente con un disco con questo titolo abbiamo avuto in tre settimane il più alto riscontro di vendite nei negozi mai avuto nella nostra carriera. Su Internet il disco gira che è una meraviglia, “Il Mucchio selvaggio” ci ha fatto onore della copertina, le radio commerciali passano brani nostri come non avevano mai fatto in passato e le prime date del tour sono piene di ragazzi di tutte le età che cantano a squarciagola con noi. Quindi devo pensare che non avere mai smussato certe asperità, aver fatto sempre scelte indipendenti ed essere rimasti cocciutamente rudi nel rapporto con la nostra musica ci abbia fatto solo bene. Non riesco ad immaginarmi gli Zen diversamente da questo: un furgone diesel che piano piano arriva alla meta dove molte spider non arriveranno mai.
Dopo Brian Ritchie (comunque presente sul cd), la vostra più recente collaborazione è con Nada.
Ha cantato nel nostro disco “Vuoti a Perdere”, ma la cosa si sta già evolvendo: sta registrando il suo nuovo disco con il nostro produttore a Ferrara, Karim ha già fatto alcune parti di batteria, mentre io lavorerò a fine mese un po' di chitarre insieme a Giorgio Canali.
Da un punto di vista musicale, ho trovato il disco come la cosa più matura fatta da voi finora: i riferimenti ci sono sempre (Violente Femmes, Pixies, ecc...), ci mancherebbe, ma ora avete trovato una forma più personale. Sei d'accordo?
Decisamente, ma credo anche che cantare in italiano per tutto un album abbia aiutato tutti a comprendere meglio la musica del circo zen. Addirittura c'è qualche folle che parla di noi come di un genere musicale a se stante. Io credo che lavorare sulla strada lunga come abbiamo fatto noi, farsi anni ed anni di gavetta di quella mozzafiato, evangelizzare il paese con tour da Testimoni di Geova, sia il modo migliore per guadagnare in personalità.
Guido Siliotto

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