mercoledì 22 luglio 2009
mercoledì 8 luglio 2009
Paolo Spaccamonti
Paolo Spaccamonti, “Undici pezzi facili”, Bosco
È un disco affascinante questo realizzato dall'esordiente Paolo Spaccamonti, un nome che però ben poco s'addice alle note contenute in “Undici pezzi facili”. No, davvero. La musica di Spaccamonti nasce dalle sue chitarre, protagoniste assolute di ogni brano, elettriche od acustiche. L'atmosfera cambia traccia dopo traccia, ma c'è sempre una certa voglia d'essere riflessivo, intimo, non incline ai colpi di teatro. Le cose procedono con grande naturalezza, anche se c'è un grande lavoro di stratificazioni in questi undici gioielli strumentali. Bene quando fa tutto da solo, come nell'introduttiva “Camicia gialla, cravatta nera” (forse quelle indossate nel ritratto all'interno del cd, che lo vede seduto su una panchina, da solo a testa bassa) e nelle tre parti di “Fine della fiera”, ancora meglio quando si avvale di alcuni ospiti: Ezra per i battiti dell'ottima “Vertigo”, incline all'elettronica, il violoncello di Beatrice Zanin e Paola Secci in “Tex” e nella conclusiva, languida “Lamento”, fino alle manipolazioni in “Soli tutti” realizzate da Daniele Brusaschetto, che ha registrato e prodotto il cd e che ringraziamo per averlo fatto uscire per la propria etichetta.
Guido Siliotto
È un disco affascinante questo realizzato dall'esordiente Paolo Spaccamonti, un nome che però ben poco s'addice alle note contenute in “Undici pezzi facili”. No, davvero. La musica di Spaccamonti nasce dalle sue chitarre, protagoniste assolute di ogni brano, elettriche od acustiche. L'atmosfera cambia traccia dopo traccia, ma c'è sempre una certa voglia d'essere riflessivo, intimo, non incline ai colpi di teatro. Le cose procedono con grande naturalezza, anche se c'è un grande lavoro di stratificazioni in questi undici gioielli strumentali. Bene quando fa tutto da solo, come nell'introduttiva “Camicia gialla, cravatta nera” (forse quelle indossate nel ritratto all'interno del cd, che lo vede seduto su una panchina, da solo a testa bassa) e nelle tre parti di “Fine della fiera”, ancora meglio quando si avvale di alcuni ospiti: Ezra per i battiti dell'ottima “Vertigo”, incline all'elettronica, il violoncello di Beatrice Zanin e Paola Secci in “Tex” e nella conclusiva, languida “Lamento”, fino alle manipolazioni in “Soli tutti” realizzate da Daniele Brusaschetto, che ha registrato e prodotto il cd e che ringraziamo per averlo fatto uscire per la propria etichetta.
Guido Siliotto
mercoledì 1 luglio 2009
Tagofest 5
Cinque candeline per il Tagofest, il festival delle etichette indipendenti in programma presso il Tago Mago (Massa - via Stradella, 20) da venerdi 3 a domenica 5 luglio. Anche stavolta, grande festa della musica, con la presenza delle migliori realtà della scena italiana, ciascuna con il proprio banchetto dove sarà possibile acquistare dischi e altro materiale, mentre nello spazio interno del locale si esibiranno i gruppi e gli artisti, in una no-stop dal pomeriggio a notte inoltrata, salvo l'anteprima solo serale di venerdi (per maggiori dettagli: www.myspace.com/tagofest). Ne parliamo con Gianmaria Aprile, uno degli organizzatori, già musicista con Ultraviolet Makes Me Sick e boss dell'etichetta Fratto9 Under The Sky.
Cinque anni di Tagofest. Un bilancio.
Per un festival nato per mettere assieme un po' di gente del circuito, ritrovarsi oggi alla sua quinta edizione vuol dire che qualcosa ha funzionato. L'attenzione da parte degli "addetti ai lavori" e del pubblico è stata esponenziale. Se nelle prime due edizioni la critica più sentita era quella che al Tagofest c'erano soltanto sempre le stesse persone/etichette, oramai non vale più. E' normale che si inizi nel piccolo, quando si lavora in un circuito già di per sé chiuso un po' in se stesso, ma noi non abbiamo mai voluto sbattere le porte in faccia a nessuno e così siamo riusciti ad avere in questi anni più di 100 gruppi/progetti diversi e altrettante etichette, chiamate a rappresentare gli stessi gruppi che si sono esibiti all'interno del Tago Mago. Vuole rimanere un festival per le etichette indipendenti, per incontrarsi, per scambiarsi il materiale, per confrontarsi e per far nascere nuove idee. Poi, all'interno del festival c'è occasione, per alcune dei loro, di far esibire uno dei propri gruppi in catalogo, freschi di uscita discografica. Direi che questo è il succo della nostra "politica". A parte il metal, il punk e tutto quello che è rock "normale", ci puoi trovare di tutto, dall'elettronica al noise, dal free-rock al jazz fino all'hardcore.
Tutto questo entusiasmo e questa ricchezza di proposte sembrano in controtendenza rispetto alla grave crisi dell'industria del disco, che, inevitabilmente, coinvolge anche le piccole realtà.
Non per dire le solite cose, ma di dischi non se ne vendono, da nessuna parte. Semmai, rimangono ancora un po' di persone attente e amanti di prodotti underground, che comperano ancora qualcosa. Come hai potuto notare c'è un forte ritorno del vinile, che diventa anche un "oggetto" e non solo un supporto musicale, forse anche perchè è l'unico davvero non duplicabile e quindi si è costretti a doverne comperare una copia per tenerlo in casa e ascoltarlo su quel magico strumento che è il giradischi (mentre rispondo a queste domande, sulla piastra gira vorticosamente un vecchio Lp di Claudio Rocchi, per non smettere di alimentare il freakkettone che è in me). Il problema rimane sempre quello di riuscire ad "educare" la gente ad un ascolto che non sia superficiale e a smetterla di considerare un suono non convenzionale come una maledizione da cui tenersi molto lontani. E poi bisogna lottare per avere un po' di visibilità e attenzione in più, anche da parte della critica, ma è ovvio che le riviste non potranno mai mettere in copertina un gruppo underground, altrimenti non venderebbero sufficienti copie per sopravvivere, e se pensiamo che Rumore vende 5000 copie o poco più siamo praticamente fregati! Credo sempre nella stampa alternativa e nella libertà di espressione della Rete, fino a quando ce la lasceranno avere, anche se purtroppo tutti si improvvisano critici-recensori senza avere una cultura musicale sufficiente per poterlo fare e allora ci si ritrova ad avere dischi recensiti bene quando in fondo si tratta di materiale poco interessante... In pratica è un disastro!
Un tuo giudizio sulla scena italiana.
Penso che ci siano tantissimi dischi e tantissimi gruppi/progetti interessanti e validi. Vale anche il suo contrario, ovvero che nel marasma c'è sempre da dover selezionare, cercare, spulciare e guardarsi sempre in giro, essere curiosi e interessati. E allora le cose belle si trovano per davvero, con gruppi che potrebbero persino riuscire a crearsi un buon percorso musicale. In questo caso, il confronto con altre realtà e con persone che fanno le tue stesse cose sia fondamentale per migliorarsi. E questo è anche uno dei motivi per cui organizzo il Tagofest.
Come ci vedono all'estero? Le potenzialità ci sono, ma quanti sforzi vengono effettivamente fatti per farsi ascoltare anche fuori dal proprio condominio?
Ormai i confini non esistono più e non so dire se sia un bene o un male. Per la mia etichetta, come per molte altre, penso sia ormai normalissimo vendere dischi dall'altra parte del mondo, come all'amico o al vicino di casa. Come tutti ben sanno esistono diverse community dove condividere musica, anche se non è sempre una buona cosa, visto che in un modo o nell'altro la rete si sta pian piano riempiendo di materiale superfluo e di gruppi/etichette che prendono molto alla leggera certe attitudini o che molto spesso ne cavalcano l'onda.
Forse l'unica cosa che può ripagare uno sforzo è quello di cercare di rimanere sul mercato il più possibile, mantenendo sempre fede alla propria etica e attitudine. Ne sono un esempio lampante etichette come Wallace, Bar La Muerte e molte altre, che, negli anni, con alti e bassi, hanno sempre cercato di andare avanti e che per qualche motivo, ancora sconosciuto a noi, gli è andata bene. Che poi vuol dire purtroppo riuscire a rientrare nelle spese sostenute per far uscire un disco e poi reinvestirle per il prossimo! Del resto stiamo vivendo in un momento musicale/commerciale molto particolare, il mercato e le innumerevoli possibilità che ci dà la tecnologia spesso ci portano a sprecare energie e a non riuscire a far focalizzare l'attenzione del possibile acquirente sui prodotti validi. Tra dischi, cdr, netlabel e brani on-line samo completamente sommersi. Poi il tempo farà il suo dovere e ci sarà una selezione naturale.
Musicista e discografico: ma chi te lo fa fare?
La passione, l'incoscienza e l'amore per una forma d'arte che non ha confini e limiti di nessun genere. L'essere onnivori in musica penso sia stimolante e che serva per alimentare lo spirito e le idee. C'è una altissima percentuale di etichette che vengono gestite da persone che allo stesso tempo fanno musica, o che quantomeno in passato ci hanno provato. Da musicista ascolto di tutto e anche da discografico (che parolone che mi fai usare!!!). Il bello di stare da entrambe le parti della barricata è che si conoscono tutti i meccanismi, il piccolo giro di soldi che c'è, le spese che ci sono dietro alla stampa di un cd/vinile e quindi come anche etichette che si spacciano come indipendenti siano delle grandissime fregature!
Per un festival nato per mettere assieme un po' di gente del circuito, ritrovarsi oggi alla sua quinta edizione vuol dire che qualcosa ha funzionato. L'attenzione da parte degli "addetti ai lavori" e del pubblico è stata esponenziale. Se nelle prime due edizioni la critica più sentita era quella che al Tagofest c'erano soltanto sempre le stesse persone/etichette, oramai non vale più. E' normale che si inizi nel piccolo, quando si lavora in un circuito già di per sé chiuso un po' in se stesso, ma noi non abbiamo mai voluto sbattere le porte in faccia a nessuno e così siamo riusciti ad avere in questi anni più di 100 gruppi/progetti diversi e altrettante etichette, chiamate a rappresentare gli stessi gruppi che si sono esibiti all'interno del Tago Mago. Vuole rimanere un festival per le etichette indipendenti, per incontrarsi, per scambiarsi il materiale, per confrontarsi e per far nascere nuove idee. Poi, all'interno del festival c'è occasione, per alcune dei loro, di far esibire uno dei propri gruppi in catalogo, freschi di uscita discografica. Direi che questo è il succo della nostra "politica". A parte il metal, il punk e tutto quello che è rock "normale", ci puoi trovare di tutto, dall'elettronica al noise, dal free-rock al jazz fino all'hardcore.
Tutto questo entusiasmo e questa ricchezza di proposte sembrano in controtendenza rispetto alla grave crisi dell'industria del disco, che, inevitabilmente, coinvolge anche le piccole realtà.
Non per dire le solite cose, ma di dischi non se ne vendono, da nessuna parte. Semmai, rimangono ancora un po' di persone attente e amanti di prodotti underground, che comperano ancora qualcosa. Come hai potuto notare c'è un forte ritorno del vinile, che diventa anche un "oggetto" e non solo un supporto musicale, forse anche perchè è l'unico davvero non duplicabile e quindi si è costretti a doverne comperare una copia per tenerlo in casa e ascoltarlo su quel magico strumento che è il giradischi (mentre rispondo a queste domande, sulla piastra gira vorticosamente un vecchio Lp di Claudio Rocchi, per non smettere di alimentare il freakkettone che è in me). Il problema rimane sempre quello di riuscire ad "educare" la gente ad un ascolto che non sia superficiale e a smetterla di considerare un suono non convenzionale come una maledizione da cui tenersi molto lontani. E poi bisogna lottare per avere un po' di visibilità e attenzione in più, anche da parte della critica, ma è ovvio che le riviste non potranno mai mettere in copertina un gruppo underground, altrimenti non venderebbero sufficienti copie per sopravvivere, e se pensiamo che Rumore vende 5000 copie o poco più siamo praticamente fregati! Credo sempre nella stampa alternativa e nella libertà di espressione della Rete, fino a quando ce la lasceranno avere, anche se purtroppo tutti si improvvisano critici-recensori senza avere una cultura musicale sufficiente per poterlo fare e allora ci si ritrova ad avere dischi recensiti bene quando in fondo si tratta di materiale poco interessante... In pratica è un disastro!
Un tuo giudizio sulla scena italiana.
Penso che ci siano tantissimi dischi e tantissimi gruppi/progetti interessanti e validi. Vale anche il suo contrario, ovvero che nel marasma c'è sempre da dover selezionare, cercare, spulciare e guardarsi sempre in giro, essere curiosi e interessati. E allora le cose belle si trovano per davvero, con gruppi che potrebbero persino riuscire a crearsi un buon percorso musicale. In questo caso, il confronto con altre realtà e con persone che fanno le tue stesse cose sia fondamentale per migliorarsi. E questo è anche uno dei motivi per cui organizzo il Tagofest.
Come ci vedono all'estero? Le potenzialità ci sono, ma quanti sforzi vengono effettivamente fatti per farsi ascoltare anche fuori dal proprio condominio?
Ormai i confini non esistono più e non so dire se sia un bene o un male. Per la mia etichetta, come per molte altre, penso sia ormai normalissimo vendere dischi dall'altra parte del mondo, come all'amico o al vicino di casa. Come tutti ben sanno esistono diverse community dove condividere musica, anche se non è sempre una buona cosa, visto che in un modo o nell'altro la rete si sta pian piano riempiendo di materiale superfluo e di gruppi/etichette che prendono molto alla leggera certe attitudini o che molto spesso ne cavalcano l'onda.
Forse l'unica cosa che può ripagare uno sforzo è quello di cercare di rimanere sul mercato il più possibile, mantenendo sempre fede alla propria etica e attitudine. Ne sono un esempio lampante etichette come Wallace, Bar La Muerte e molte altre, che, negli anni, con alti e bassi, hanno sempre cercato di andare avanti e che per qualche motivo, ancora sconosciuto a noi, gli è andata bene. Che poi vuol dire purtroppo riuscire a rientrare nelle spese sostenute per far uscire un disco e poi reinvestirle per il prossimo! Del resto stiamo vivendo in un momento musicale/commerciale molto particolare, il mercato e le innumerevoli possibilità che ci dà la tecnologia spesso ci portano a sprecare energie e a non riuscire a far focalizzare l'attenzione del possibile acquirente sui prodotti validi. Tra dischi, cdr, netlabel e brani on-line samo completamente sommersi. Poi il tempo farà il suo dovere e ci sarà una selezione naturale.
Musicista e discografico: ma chi te lo fa fare?
La passione, l'incoscienza e l'amore per una forma d'arte che non ha confini e limiti di nessun genere. L'essere onnivori in musica penso sia stimolante e che serva per alimentare lo spirito e le idee. C'è una altissima percentuale di etichette che vengono gestite da persone che allo stesso tempo fanno musica, o che quantomeno in passato ci hanno provato. Da musicista ascolto di tutto e anche da discografico (che parolone che mi fai usare!!!). Il bello di stare da entrambe le parti della barricata è che si conoscono tutti i meccanismi, il piccolo giro di soldi che c'è, le spese che ci sono dietro alla stampa di un cd/vinile e quindi come anche etichette che si spacciano come indipendenti siano delle grandissime fregature!
Guido Siliotto
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