sabato 31 dicembre 2011

Gipi

Gipi
“Esterno notte / S. / La mia vita disegnata male”
Coconino Press, pp. 368, euro 11,90
La collana “Omnibus” è l'interessante idea di Coconino Press per far conoscere l'opera dei grandi autori del fumetto moderno, proposti in forma di antologia in un unico volume a prezzo speciale. Gipi non poteva che essere una delle prime scelte, un po' perchè best seller della casa editrice in questione, un po' per il ruolo da protagonista assunto in questi ultimi anni, non solo nel panorama italiano. Ecco allora insieme tre delle sue opere più importanti: la raccolta di racconti “Esterno notte” e i due graphic novel “S.” e “La mia vita disegnata male”. Qui si apprezzano i temi cari all'autore pisano, sviluppati con grande padronanza di mezzi e piena consapevolezza, in attesa che ritrovi l'ispirazione per tornare al fumetto, indaffarato com'è tra cinema e letteratura. Per chi già non li possiede, l'occasione è ghiotta per portarseli a casa in un solo colpo, sebbene inevitabilmente, ma è l'unico neo, patiscano un po' il formato ridotto di questa nuova edizione economica.
Guido Siliotto

venerdì 30 dicembre 2011

Massimo Zamboni

Intervista a Massimo Zamboni
Quando Massimo Zamboni, lo storico chitarrista – e non solo – di CCCP e CSI, si è imbattuto nella voce e nella personalità di Angela Baraldi, è scoccata la scintilla, che ha dato ottimi frutti, vale a dire un cd ("Solo una terapia. Dai CCCP all'estinzione") e un infuocato tour. "Come tutte le cose migliori, è stato il caso a volerlo", spiega lo stesso Zamboni. "Ho capito subito che la voce di Angela mi avrebbe consentito di ripercorrere tutta la mia vicenda artistica: solo con lei, ne sono certo, potrei suonare tanto i primi brani dei CCCP quanto le mie nuove canzoni con la stessa intensità e gli stessi ottimi risultati". E infatti proprio questo è il menu del concerto, un viaggio che va dagli storici brani targati CCCP e CSI fino alle ultime produzioni di Zamboni, comprese quelle del suo più recente cd "Estinzione di un colloquio amoroso". E lui ci tiene a sottolineare che non c'è stata nessuna premeditazione, ma che neppure si tratta della classica operazione nostalgia. "In realtà", spiega il musicista, "tutto sta nel titolo stesso del progetto, che si chiama "Solo una terapia", vale a dire un momento di guarigione per me in particolare, che finalmente posso di nuovo proporre dal vivo canzoni che non suonavo da troppo tempo, ma anche per il pubblico. Ritengo che questo sia un paese gravemente malato, una crisi che deve metterci di fronte all'amara realtà, ormai fin troppo chiara: l'Italia non ha più alcuna forza trainante, siamo diventati un'appendice del Mediterraneo. Non siamo un esempio per nessuno e purtroppo non vedo proprio alcuna via d'uscita, nonostante Tv e giornali provino ogni tanto a mostrare una realtà che è del tutto artefatta, diversa da quella che puoi constatare girando per strada e semplicemente guardandoti intorno e parlando con le persone. Al contrario, ci sono paesi che hanno saputo rinnovarsi e, soprattutto, volgere a proprio favore l'integrazione di persone che arrivano da fuori, mentre noi continuiamo a temere chissà quale invasore, senza capire che il vero nemico parla la nostra stessa lingua e ci sta portando verso il disastro". Insomma, con trent'anni di carriera alle spalle Zamboni continua ad essere lucido e incisivo e il pubblico pare apprezzare. "Sono davvero entusiasta, è bellissimo vedere ai concerti più generazioni accomunate da questa musica, dai settantenni che avevano quarant'anni quando ho cominciato fino ai loro nipotini, che magari si chiamano Emilia o Juri proprio grazie alle nostre canzoni!".
Guido Siliotto

Tom Waits

Tom Waits
"Bad As Me"
Anti
A sette anni di distanza da “Real Gone” e a quattro da “Orphans”, Tom Waits è tornato  con un album nuovo di zecca, molto atteso per verificare lo stato di salute di un musicista tra i più rappresentativi della storia musicale americana. Ed è un rientro che suona come una sorta di percorso avanti e indietro lungo la carriera dell'artista di Pomona, tanto vario nei contenuti quanto ricco di auto-citazioni. A tal punto che non sarebbe poi così azzardato consigliare, a chi si accosta per la prima volta a Tom Waits, di partire proprio da “Bad As Me”. Infatti qui, come raramente altrove, sono rappresentate le sue diverse anime, quella maggiormente intimista dei primi anni e quella più ostica e scorbutica da “Swordfishtrombones” in poi, sempre con la capacità di reinterpretare la tradizione in un'ottica talmente personale da risultare unica. In parte è un ritorno al passato, ma pure un incoraggiante passo avanti, che manifesta la voglia di raccontare ancora nuove storie, con quella inconfondibile ed impareggiabile voce. Tra i collaboratori, accanto alla conferma del sodalizio artistico, oltre che sentimentale, con Kathleen Brennan, spicca al solito la chitarra di Marc Ribot, da tempo tratto distintivo delle canzoni di Waits, ma c'è anche e soprattutto Keith Richards - di quei Rolling Stones omaggiati in “Satisfied” - il quale, oltre ad offrire la propria sei corde, duetta al microfono nella struggente “Last Leaf”. Da segnalare che il cd esce in doppia versione, quella normale e quella deluxe, quest'ultima con un cd in più con altri tre brani inediti.
Guido Siliotto

The Zen Circus

The Zen Circus - Intervista ad Andrea Appino
Era molto atteso il nuovo album degli Zen Circus, chiamati a confermare le ottime impressioni destate col precedente cd, "Andate tutti affanculo", che aveva segnato un'importante svolta per il trio pisano col passaggio alle liriche in italiano. E la band capitanata da Andrea Appino non ha deluso, confermandosi come una delle realtà più in forma del panorama rock tricolore. "Nati per subire" mette insieme sonorità indie-rock e testi acuti ed intelligenti con piena padronanza di mezzi ed una maturità espressiva ormai da applausi.
"E' stato un percorso lungo", spiega Appino, "ma ora come ora il flusso creativo è al suo apice e nessun tipo di fatica ci opprime se non quella fisica del portare la nostra musica in tutto il paese nel modo più capillare possibile. Ma è una bella fatica, la notte a volte mi scende una lacrima di felicità e soddisfazione. Nulla a che vedere con fatiche peggiori, quelle di tanti lavori sottopagati, che mi hanno insegnato che la vera truffa moderna è odiare il proprio lavoro, quando dovrebbe invece essere una delle più grandi soddisfazioni della propria esistenza".
Il titolo del cd è "Nati per subire": c'è aria di rassegnazione?
Assolutamente no. Col precedente album abbiamo aperto nella nostra discografia una "finestra sull'Italia" che ci ha dato una bella vista sul qualunquismo, la volgarità, l'opportunismo ed il cinismo di questo paese che sembra una scarpa. I Nati Per Subire, sono tutti coloro - noi compresi - che non sono messi in condizione di scrivere nemmeno una riga della propria storia e quindi possono solo subirla. Nessun proclama, solo un punto di vista su cosa significa vivere in Italia in questi strani anni.
Da quando, come dite voi, il nostro nobile stivale si è trasformato in una scarpa (una Nike taroccata, direi)?
Hai azzeccato il tipo di calzatura... Beh, piano piano, grazie alla propulsione di quel decennio maleodorante e putrido chiamato anni '80. Più in generale, da quando abbiamo voluto essere tutti qualcuno e andare in Tv, da quando il più forte ed il più codardo han sempre ragione, da quando abbiamo la vita pagata a rate, da quando a guidarci è la paura di essere poveri o di essere considerati tali, da quando abbiamo perso lo sguardo obliquo sul mondo, da quando non abbiamo più Pavese, Pasolini, Montanelli, Piero Ciampi e tanti altri. Ma nessuna nostalgia, la nostalgia fa vivere nel passato e proprio non è il caso.
Vedi qualche speranza?
Non parlerei di speranza, che considero una truffa. Piuttosto: abbiamo le capacità di soddisfare in pieno le nostre esistenze e quelle di chi ci sta accanto? E soprattutto: invece di preoccuparci delle vite degli altri e se Dio esiste o meno, riusciremo mai ad esistere noi? Ed in che misura? Queste sono le domande che ci fanno i personaggi del disco e che necessitano di una risposta quanto prima. Ma non sarà certo una band rock a darvi delle risposte. Sono le persone che cambiano il mondo.
C'è una generazione in particolare alla quale ti rivolgi?
La mia generazione, quella dei trentenni, ti confesso che mi fa un po' paura, perché mi somigliano molto, sia in positivo che in negativo, ma in ogni caso mi ci sento legato a doppio filo. E invece, senza nessuna premeditazione e con nostro grande stupore, sono proprio i giovanissimi ad apprezzarci di più. Ormai quella passione, quell'affetto e quell'attenzione sono parte di noi e possiamo dire che siamo molto fortunati ad avere dei ventenni così.
Guido Siliotto



Luciano Bianciardi

Luciano Bianciardi
“Il Risorgimento allegro. Breviario di italianità”
Stampa Alternativa, pp. 104, euro 12
È nota la passione che Luciano Banciardi nutriva per il Risorgimento italiano, basti ricordare alcune delle sue opere principali come “Da Quarto a Torino”, “La battaglia soda”, “Daghela avanti un passo”, “Garibaldi” e “Aprire il fuoco”, il cui titolo originale era però “Le Cinque Giornate”. Ovvio che non poteva mancare all’appello proprio lui, in quest’anno di celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. L’operazione curata dal figlio Ettore per Stampa Alternativa è un'antologia di brevi passi tratti dai principali testi dello scrittore grossetano sull’argomento, soprattutto “Daghela avanti un passo”. “L'idea”, spiega, “è stata quella di fare un vero e proprio breviario bianciardiano sul Risorgimento, ma per farlo abbiamo pensato ad un'impaginazione particolare: infatti, aprendo il libro in qualunque punto, si hanno davanti due pagine da leggere alla sera prima di spegnere la luce e sulle quali riflettere, che contengono un intero capitolo, breve ma intenso su un fatto risorgimentale, magari anche assai noto, ma comunque raccontato sempre in modo molto diverso dall'iconografia ufficiale”. Una lettura che, se da un lato può aprire nuove conoscenze sulla materia, ricco com’è di aneddoti, curiosità e personaggi più o meno straordinari, dall’altro conferma l’indole di un autore anticonformista come Bianciardi, oltre alla sua proverbiale corrosiva ironia, arma con la quale poteva permettersi di dispensare giudizi, spesso seguendo le sue simpatie (per Garibaldi, ad esempio) e antipatie (vedi le parole dedicate a Carlo Alberto). “Queste pagine”, prosegue Ettore, “dimostrano in maniera inequivocabile che non è vero che allora gli italiani fossero più seri e più patriottici di oggi, o comunque non nella maniera un po’ retorica con cui ce li vengono spesso a presentare. In realtà, il Risorgimento fu anche e soprattutto un momento di allegria, che coinvolse in maniera assai spontanea i giovani di allora, i quali forse non avevano tutti quegli ardori nazionali che si vuol attribuire loro, ma certamente una gran voglia di menare le mani”.
Guido Siliotto

Bianca Martinelli

Bianca Martinelli
“Andy Warhol Music Show”
Castelvecchi, pp. 256, euro 16
Indiscutibile il ruolo di Andy Warhol nella costruzione del nostro immaginario estetico. Una forza che deriva anche dalle sue frequentazioni rock, un po’ nel ruolo di mecenate (si pensi ai Velvet Underground), ma soprattutto come autore di alcune celebri e meno celeri copertine di dischi. Un’attività che lo impegnò lungo il corso di tutta la sua vicenda artistica, da quando, poco più che ventenne, per sbarcare il lunario si faceva affidare alcuni Lp jazz, fino alle ultime creazioni, di routine perchè tendevano a insistere su idee ormai ampiamente sfruttate, passando attraverso alcuni lavori che davvero sconvolsero il concetto stesso di copertina, dalla rivoluzionaria “banana” per la band di Lou Reed alla chiusura lampo per gli ammiccanti jeans su “Sticky Fingers” dei Rolling Stones. L’agile ma illustratissimo volume curato da Bianca Martinelli evidenzia le evoluzioni del suo percorso, con molti approfondimenti e qualche curiosità: ricordate le cover di “Made in Italy” e “Jazz” di Loredana Bertè?
Guido Siliotto

domenica 11 dicembre 2011

Amy Winehouse

Amy Winehouse
"Lioness: Hidden Treasures"
Island
Lo spettacolo deve continuare, si sa. Scomparsa lo scorso 23 luglio, Amy Winehouse è tuttavia nei negozi con un nuovo disco, postumo. Giurano che questo sarà il primo e ultimo. C'è da crederci? Vedremo. E sentiremo. Per ora c'è questo cd, "Lioness: Hidden Treasures", realizzato in accordo tra il padre Mitch e i produttori di sempre, Mark Ronson e Salaam Remi, che hanno spulciato tra quei brani meno conosciuti della cantante, anche se noti e sicuramente già patrimonio dei fan. Una raccolta che contiene tre quarti d’ora di musica di ottima qualità, dettaglio non da poco e che accresce ancora di più il rimpianto per ciò che la giovane artista avrebbe potuto darci se solo la sua vita non si fosse interrotta così presto. Tra le tracce risalenti al passato più prossimo ci sono la sognante "Between the cheats", che doveva entrare nel terzo album, "Like smoke", con accenti hip-hop e "A song for you" di Leon Russell, un omaggio a Donnie Hathaway. Non mancano "Body and soul", il duetto già incluso nell'ultimo cd di Tony Bennett, e neppure la cover "Our day will come" di Ruby & The Romantics, outtake dal primo album "Frank", mentre i brani tratti dalle registrazioni di "Black" sono la ballata "Tears" e "Wake up alone". Da segnalare infine le cover di "The girl from Ipanema" (Astrud e João Gilberto con Stan Getz) e di "Will you still love me tomorrow?" (Carole King), con archi e fiati in abbondanza. Una raccolta che aggiunge assai poco a quanto già si conosceva di Amy Winehouse e che tuttavia non potrà mancare nella collezione di chi l'ha amata. E se proprio l'operazione commercial-natalizia non vi va giù, aspettate dopo le feste per farla vostra.
Guido Siliotto

Kid Chocolat

Kid Chocolat
“Kaleidoscope”
Poor
La Svizzera non è esattamente al centro della scena pop mondiale. Eppure, di questi tempi è possibile trovare proprio dove meno te li aspetti artisti capaci di incuriosire. È il caso di Kid Chocolat, fondatore dell'etichetta Poor, appassionato di cinema e pop anni sessanta, amico di Love Motel e Tahiti 80, che sforna un disco che fin dal titolo vuol far girare la testa, denso com'è dei più disparati riferimenti. E' pop elettronico, ma senza campionamenti e con suoni vicini anche al rock, tra una cover degli EMF e un tributo alla compositrice-medium Rosemary Brown. Davvero sfizioso.
Guido Siliotto

?Alos / Xabier Iriondo

?Alos / Xabier Iriondo
“The Clouds”
Bar La Muerte / Tarzan
Il quarantacinque giri, il formato vinilico più stuzzicante di tutti, prepensionato dall'industria discografica ma mai veramente sconfitto, alla faccia del mini-cd. E se la moda del momento è il recupero delle tanto vituperate (a ragione) cassette, il vinile sette pollici non muore mai. Lo conferma la scelta di Stefania Pedretti (?Alos) e Xabier Iriondo di affidare proprio a questo cerchietto di felicità i frutti della loro collaborazione. Tre brani che testimoniano l'incontro in studio di registrazione tra la prima, artista a tutto tondo (musicista, pittrice e stilista, nota anche come metà degli Ovo e delle Allun) e un musicista creativo e bramoso di continue sperimentazioni come Iriondo (Afterhours, A Short Apnea, Uncode Duello, Polvere...). Tutt'altro che rassicurante il contenuto: i suoni gutturali emessi dall'ugola di Stefania ben si sposano con gli strumenti percossi da Iriondo (un banjolino, sorta di mandolino con la cassa del banjo, un monocordo acustico e un melobar, lap steel guitar modificata dallo stesso Iriondo), con la prospettiva di plasmare a proprio piacimento ispirazioni in chiave folk. L'auspicio è che si tratti dell'antipasto di un futuro album.
Guido Siliotto

sabato 10 dicembre 2011

Piet Mondrian

Piet Mondrian
"Purgatorio"
Urtovox
Si ispira nientemeno che al "Purgatorio" dantesco il secondo disco dei Piet Mondrian, un concept album che prevede nove tracce di cui sette dedicate ai vizi capitali e le altre due per l'Antipurgatorio e il Paradiso Terrestre. Temi che ad affrontarli non è certo una passeggiata, ma il duo di San Miniato non sembra voler nascondere le proprie ambizioni: da un nome altisonante (quello del celebre pittore olandese) ai punti di riferimento musicali che vanno da Gainsbourg a De André fino ai Baustelle, con una visione minimale del pop, non privo di una certa ironica seriosità. Le loro canzoni non lasciano indifferenti, vuoi per le liriche, mai banali e intelligenti in maniera quasi ostentata, vuoi per la musica, scarna e a tratti ossessiva, ma non noiosa. "Purgatorio" non è un disco facile, ma senz'altro intrigante. Alla fine delle registrazioni, però, del duo è rimasto solo Michele Baldini, voce e chitarra, autore dei testi e delle musiche, mentre Caterina Polidori (voce e batteria) ha lasciato e il progetto andrà avanti con due nuove musiciste. Imprevedibili dunque gli sviluppi futuri.
Guido Siliotto

sabato 5 novembre 2011

VeryShortShorts

VeryShortShorts
"Minimal Boom"
Riff
Chi aveva apprezzato “Background Music For Bank Robberies” sarà senz'altro felice di ritrovare i VeryShortShorts. Chi invece non ne ha mai sentito parlare, sappia anzi tutto che si tratta di un trio che compone brani rigorosamente strumentali attraverso l'interazione tra un violino (Emilio Vettori), un pianoforte (Stefano Manca) e una batteria (Jeremy Thòma). I risultati sono ottimi anche stavolta: in "Minimal Boom" non manca infatti l'impeto punk che già animava il cd d'esordio, ma c'è soprattutto un'innegabile fascinazione per le sonorità di certe colonne sonore dei poliziotteschi italiani degli anni settanta. La marcia in più è data proprio dall'inusuale strumentazione, che, se da un lato costringe chi ascolta a confrontarsi con qualcosa di nuovo, dall'altro si fa apprezzare anche grazie alla qualità delle canzoni. Insomma, un disco che conferma VeryShortShorts come una delle realtà più intriganti venute fuori dall’underground italiano negli ultimi tempi.
Guido Siliotto

Comfort

Comfort
“Proximity to Temporality”
482 Music
Confermano tutte le loro grandi qualità i Comfort con questo “Proximity to Temporality”, terzo album della carriera pubblicato (in vinile) dall'etichetta newyorkese 482 Music. Il gruppo pisano, fin dagli esordi, si è messo in evidenza nel panorama non solo italiano grazie alla grande capacità di muoversi senza inibizioni tra i vari generi, ignorandone volutamente i confini, nella massima libertà di ispirazione. Una prospettiva che ha consentito al trio di farsi apprezzare proprio per la qualità della proposta, più che per l'adesione a qualsivoglia tendenza. Non fa eccezione questa nuova raccolta di brani, che spaziano dal jazz all'elettronica al post-rock regalando puro piacere all'ascolto. Da sempre aperta alle collaborazioni, la band si avvale stavolta di ospiti come Beppe Scardino del collettivo El Gallo Rojo ai fiati, ma anche Joseph Costa e Lindsay Anderson dei L’Altra e Anna Tomlin alla voce, confermando così il respiro internazionale del progetto.
Guido Siliotto

martedì 25 ottobre 2011

Philippe Marcadé

Philippe Marcadé
“Oltre l’avenue D. Un punk a New York – 1972-1982”
Agenzia X, pp. 192, euro 15
Ci sono cose in questo libro che a leggerle uno non ci crede. Come quando l'autore racconta che alla sua festa di benvenuto a New York in un loft zeppo di star e future star si esibisce una band che fa canzoni che cominciano con “one-two-three-four”, tutte uguali l'una all'altra, quattro brutti ceffi alla prima esibizione in assoluto che si fanno chiamare Ramones. Eppure questo è solo uno degli incredibili avvenimenti della vita sopra le righe di Philippe Marcadé, parigino giramondo, arrivato diciassettenne nella Grande Mela per far parte di un mondo ricco di fermenti artistici e culturali, quello del punk, per poi formare una sua propria band, The Senders. Ci sono tutti, da Johnny Thunders a Richard Hell, da Debbie Harry a Nancy Spungen e Sid Vicious, fino ad un ancora sconosciuto Bob Marley, che gli passa una canna nei camerini. C'è la musica e c'è anche la droga, compresa quella “pesante” che ha portato via tante giovani vite. C'è tanta energia in una narrazione spiccia e senza fronzoli, ironica e davvero avvincente.
Guido Siliotto

lunedì 24 ottobre 2011

Paolo Spaccamonti

Paolo Spaccamonti
“Buone Notizie”
Bosco

Dopo lo straordinario esordio con “Undici pezzi facili” - disco davvero magnifico e sempre caldamente consigliato a chi se lo fosse perso - e dopo la sonorizzazione dal vivo del film muto "Rotaie" commissionata dal Museo Nazionale del Cinema, Paolo Spaccamonti torna con un nuovo album, qui per confermare tutte le buone impressioni del primo cd. E ci riesce in pieno, anzi facendo qualche passo avanti. Coadiuvato da Marco Milanesio al mixer e da alcuni ospiti (Julia Kent, Fabrizio Modonese Palumbo, Daniele Brusaschetto, Ezra, Davide Compagnoni, Marco Piccirillo, Dario Bruna e Ramon Moro) sforna dodici nuove tracce che si muovono con piena padronanza tra folk, rock e jazz nella loro accezione più moderna, sempre evidenziando la capacità di muoversi con pari bravura sia nel campo della melodia più calda come nella sperimentazione più ostica. Il chitarrista torinese si conferma dunque una figura da tenere nella massima considerazione anche per il futuro, mentre per il presente “Buone notizie” è disco da non perdere.
Guido Siliotto

Heimweh

Heimweh
"Ragh Potato"
Improvvisatore Involontario
Il primo complimento che sorge spontaneo elargire a questi Heimweh è che la loro musica sfugge a qualsivoglia classificazione. Certo, la inseriremmo nel filone del jazz improvvisato, anzi tutto perché i sei titoli che compongono la raccolta nascono da libere, liberissime improvvisazioni e poi perché i quattro musicisti coinvolti - Alberto Popolla (clarinetto e clarinetto basso), Alessandro Salerno (chitarra classica), Francesco Lo Cascio (vibrafono e percussioni), Mario Paliano (batteria e percussioni) - provengono dal collettivo Franco Ferguson, da sempre impegnato in un approccio critico e non ortodosso al jazz. Il cd in questione nasce dal progetto Amazing Recordings, l'idea di suddividere tutti i membri del collettivo in dodici gruppi, ai quali offrire tre giorni per fissare su un supporto la propria musica. “Ragh Potato” è il frutto saporitissimo di quelle session, il prodotto di musicisti in piena forma e con ottime qualità, a dimostrazione ancora una volta che per certa musica non è poi così difficile oggi trovare buoni esempi anche in Italia.
Guido Siliotto

Newtone2060

Newtone2060
“Shot”
Fratto9 Under The Sky
Charles Bukowski continua ad essere fonte d'ispirazione per altri artisti anche in campo musicale, ma ciò che si ascolta in questo nuovo album firmato Newtone2060 è sicuramente una delle varianti più originali che si potessero elaborare partendo dalle sue poesie. Dopo questo terzo album intitolato “Shot” (pubblicato in vinile dalla sempre più autorevole Fratto9 Under The Sky), diventa a questo punto urgente accorgersi di questo fantastico trio formato dall'eclettico batterista Cristiano Calcagnile, uno dei nomi di riferimento per il panorama sperimentale italiano nel campo delle percussioni, assieme a Marco Albert, il quale si occupa della parte recitata applicando con bravura svariati effetti alla propria voce, e Salvatore Sammartino, che invece fornisce il materiale sonoro attraverso l'utilizzo di un giradischi con cui martoriare una collezione di Lp che va dal jazz fino agli Spandau Ballet. Catturata dal vivo, la band dimostra grande maestria e capacità di coinvolgimento, sempre che si sia disposti a prestare l'adeguata attenzione. Davvero un'ottima prova.
Guido Siliotto

Paramount Styles

Paramount Styles
"Heaven's Alright"
Cycle/Konkurrent
Scott McCloud è stato il cantante dei Girls Against Boys, negli anni novanta una delle migliori band del panorama indie-rock statunitense, che tuttavia non seppe mai raggiungere quel successo commerciale più ampio che senz'altro avrebbe meritato. Da tempo, McCloud ha messo in piedi un nuovo progetto, che qui arriva al secondo album, con l'intento chiaro e preciso di mettere da parte il rumore che caratterizzava le sonorità della band d'origine (che usava, con originalità, due bassi distorti e un campionatore) ed approdare a una musica più pacata. La sua voce diventa allora il tratto distintivo della musica dei Paramount Styles, quelle corde vocali ruvide e quei toni da crooner che da sempre rendono McCloud uno degli interpreti più cool del rock underground. Per il resto, le nuove canzoni – per la cui realizzazione è stato coinvolto alla batteria anche il vecchio compagno d'avventura Alexis Fleisig – pur non impressionando certo per carica innovativa, oltre ad essere un po' penalizzate dagli arrangiamenti non sempre adeguatamente dinamici, comunque risultano oltre modo piacevoli all'ascolto.
Guido Siliotto





Prince

Liz Jones, "Prince. Schiavo del ritmo", Odoya, pp. 352, euro 20
Ristampa, riveduta e corretta, della biografia scritta nel '97 da Liz Jones (giornalista di Sunday Times e Marie Claire): vita e gesta del principe di Minneapolis, uno dei più grandi artisti pop di tutti i tempi, fino al periodo difficile degli anni novanta – quando mise addirittura da parte il proprio nome in polemica con il music business. La Jones ne scandaglia la vita privata, con l'ausilio di numerose testimonianze, lasciando un po' da parte l'analisi della musica, di cui si parla nell'appendice / aggiornamento a cura di Davide Sechi. I misteri restano per lo più insoluti, ma è comunque un testo imprescindibile per ogni fan.
Guido Siliotto

Primus

Primus, “Green Naugahyde”, Prawn Song
Si tratti o no di una coincidenza, fatto sta che i nuovi dischi di Primus e Red Hot Chili Peppers sono usciti praticamente assieme, per un nuovo confronto a distanza fra le due band che forse più di tutte hanno rappresentato quella scena che, negli anni novanta, ha saputo mettere insieme funk e rock in una sintesi che ha fatto impazzire milioni di appassionati in tutti il mondo. Il nuovo parto del trio – nella formazione originale composta da Les Claypool (basso e voce), Larry LaLonde (chitarra) e Jay Lane (batteria) - esce a distanza di dodici anni dal predecessore “Antipop” e la pubblicazione avviene in maniera del tutto indipendente, con l'etichetta personale del trio (Prawn Song). Un segno dei tempi, forse. Ad ogni modo, ciò che conta di più è la qualità sonora di questo “Green Naugathyde”, di sicuro una prova molto buona da parte di questi vecchietti terribili, che magari non sconvolgerà la vita di nessuno – come invece accadde con certe pietre miliari del loro passato – ma che mostra una invidiabile freschezza di ispirazione, oltre alla solita, mostruosa perizia tecnica. Pur nella grande varietà di guizzi stilistici - com'è nella tradizione di un gruppo che ha sempre seguito gli insegnamenti di un certo Frank Zappa in fatto di alchimie sonore -, è sempre il funk a farla da padrone. Forse vanno un po' controcorrente, come quei salmoni protagonisti di uno dei brani meglio riusciti dell'intera raccolta (“Last Salmon Man”), ma di questi tempi, visto che lo spazio che fin troppo spesso si tende a concedere anche ai più pallidi imitatori, tanto vale stavolta rivolgersi agli originali.
Guido Siliotto

Betta Blues Society

Betta Blues Society, "Betta Blues Society", Autoprodotto
Ecco una band coi piedi ben piantati nel... passato. Che dire, questi Betta Blues Society non si fanno distrarre da auto di grossa cilindrata, cellulari di ultima generazione e tv ultrapiatti. Sedotti invece da atmosfere bucoliche e sonorità d'annata, coi loro strumenti rigorosamente acustici si cimentano in canzoni che sembrano un altolà alle frenesie contemporanee e fanno piombare in un clima tradizionalista oltre modo rigenerante. Il progetto toscano si consolida un paio d'anni fa grazie all’incontro tra la cantante Elisabetta Maulo e il chitarrista Lorenzo Marianelli, cui si aggiungono ben presto Luca Guidi (chitarra e ukulele), Nicola Floris (armonica) e Matteo Anelli (contrabbasso). Dopo il classico rodaggio live, eccoli alla prima prova discografica, un album omonimo registrato a Livorno da Antonio Castiello. Dodici brani di cui nove firmati da Luca Guidi (da solo o con la collaborazione dei compagni d'avventura) e altri tre che sono invece cover di Sister Rosetta Tharpe, Ma Rainey e Leiber & Stoller. I riferimenti sonori sono al prewar blues, quello cioè che si suonava prima della Seconda guerra mondiale, con qualche ironico aggancio al presente ("Bunga Bunga"), il tutto con convinzione, passione e ottimi risultati, anche dal vivo, grazie alla perizia dei musicisti e alla splendide qualità espressive della cantante.
Guido Siliotto

Red Hot Chili Peppers

Red Hot Chili Peppers
 “I'm With You”
Warner
E' andato dritto in testa alle classifiche di vendita nel nostro paese, come già era avvenuto per la Gran Bretagna. Dimostrazione di quanto spasmodica fosse l'attesa dei fan per il nuovo parto della band di Anthony Kiedis. L'operazione promozionale era comunque già partita da tempo, con le copertine sulle principali riviste e un singolo, “The Adventures Of Rain Dance Maggie”, trasmesso di continuo in radio e su MTV. Era da cinque anni, dopo “Stadium Arcadium”, che attendevamo al varco la band, ancora una volta orfana di John Frusciante, che ha deciso di proseguire per conto proprio, sostituito da Josh Klinghoffer. “I’m With You” si presenta con 14 canzoni ed è prodotto da uno dei Re Mida del rock, quel tale Rick Rubin che con i Red Hot già aveva lavorato ai tempi di “Blood Sugar Sex Magik”. Se l'obiettivo era quello di dimostrare di avere ancora qualcosa da dire, il gruppo non delude: ci sono buoni riff, belle melodie, grinta a volontà e non manca neppure la grande ballata, quella “Brendan’s Death Song” che è già un classico. A sostenere l'impresa c'è soprattutto il basso funk di Flea, oltre all'inconfondibile voce di Kiedis, mentre la chitarra del più giovane Klinghoffer mira al sodo, sebbene i fan di Frusciante avranno senz'altro qualcosa da recriminare in proposito. Non si tratta di un capolavoro, ripete un po' i soliti clichè e, certo, rispetto ai vecchi lavori manca quell'irruenza che rendeva il gruppo qualcosa di unico, ma pretendere una cosa del genere da chi è sulla breccia da così tanto tempo sarebbe quanto meno ingiusto.
Guido Siliotto

Bonvi & Cavazzano

Bonvi & Cavazzano, “Altre storie dello spazio profondo”, Rizzoli, pp. 200, euro 17
La fantascienza secondo Bonvi, vale a dire una materia che si piegava alla sua proverbiale ironia come già la guerra nelle “Sturmtruppen” e gli dava lo spunto per una serie di storie argute e divertentissime, assecondate dalla matita del più grande autore Disney Giorgio Cavazzano, pubblicate negli anni 1998-99 nella collana “I grandi comici del fumetto”. Nei quattro episodi de “La città” troviamo un poliziotto razzista che se la prende con un timido alieno, dei mostriciattoli che rubano i sogni, un angelo di seconda categoria e una terribile creatura cannibale, mentre in “Maledetta galassia!” gli equipaggi terrestri non fanno una bella figura in confronto alle creature aliene. Insomma, Bonvi era capace di parlare di “spazio profondo” meditando sui tic, le manie e le piccole e grandi tragedie quotidiane di noi poveri abitanti di questo pianeta. Inutile rimarcare con quale straordinario talento Cavazzano è stato capace di dare una forma alle sue impareggiabili fantasie. In attesa che Rizzoli renda disponibili altri quattro titoli che si pensava fossero andati perduti.
Guido Siliotto

Megafaun

Megafaun, "Megafaun", Crammed Discs
Tornano i Megafaun con un'altra straordinaria tappa di un percorso musicale che sta appassionando parecchi estimatori di quel rock americano capace di guardare con rispetto e coinvolgimento alla tradizione, ma incline altresì a trattare la materia con indubbia personalità. Anche stavolta, del tutto insensibile alla ricerca di un genere in cui farsi incasellare, il trio colpisce per la capacità di spaziare dalla ballata che arriva dritta al cuore fino a certe derive sperimentali, coinvolgendo con calde melodie e vibranti scossoni. Insomma, una band che si conferma in stato di grazia.
Guido Siliotto

The Great Saunites

The Great Saunites
"Delay Jesus ’68"
Hypershape/Il Verso Del Cinghiale
Sono solo in due, ma a dispetto del numero fanno parecchio baccano. In realtà, ponendosi come duo basso-batteria – con qualche inserto di tastiera - ci si potrebbe aspettare qualcosa di particolarmente sperimentale, e invece The Great Saunites chiariscono fin dalla prima traccia che il loro percorso è assai più tradizionalista e questi ragazzi di Lodi dimostrano di avere a casa una bella collezione di dischi. Pescano a piene mani dall'hard rock più classico e da certa psichedelia, per finire in un contesto che senza problemi potremmo definire noise. Facile immaginare che i pezzi nascano da lunghe jam in sala prove e questi flussi di coscenza vanno poi a costituire le lunghe tracce contenute nel cd. L'atmosfera che si respira, comunque, è cupa e a tratti inquiteante e i due sono molto bravi, ottimi sia il drumming ossessivo che le linee di basso che tengono in piedi l'aspetto melodico. Con un maggiore dinamismo compositivo, il prossimo album potrebbe fare il botto.
Guido Siliotto

Michele Petrucci

Michele Petrucci, “Il brigante Grossi e la sua miserabile banda”, Tunuè, pp. 112, euro 14,70
Da inserire senz'altro nel filone delle pubblicazioni dedicate ai 150 anni dell'Unità d'Italia, questo graphic novel di Michele Petrucci guarda però le cose da una prospettiva piuttosto particolare ed inconsueta. Le vicende narrate, infatti, riguardano le gesta della banda del temibile brigante Terenzio Grossi, un ex contadino marchigiano, che, all'arrivo dei Savoia, non ne vuole sapere di sottostare alle nuove regole e preferisce invece mantenere la propria indipendenza utilizzando la legge del più forte, tra uccisioni, rapine e furti. Fuggito di prigione, raduna attorno a sé un manipolo di uomini e porta avanti con determinazione il suo piano, fino alle tragiche conseguenze. Petrucci utilizza uno stile molto particolare, sia da un punto di vista grafico, con un tratto che tende a mettere in evidenza la crudezza delle atmosfere, sia per quanto riguarda la sceneggiatura, privilegiando una ricostruzione frammentaria dei fatti e narrando, oltre le vicende storiche, anche quelle umane, fatte di amicizia e tradimento.
Guido Siliotto

Fiftyniners

Fiftyniners
"Psychorama"
Twelve
Per cogliere tutta la potenza dei Fiftyniners, dirigetevi subito sulla traccia numero tre, quella che dà il nome al loro nuovo album. "Psychorama", come già il titolo suggerisce, è un fulminante psychobilly coi controfiocchi: riff micidiale, coretto contagioso, ritmica trascinante. Non sono da meno le altre canzoni contenute nel disco, in tutto 13 tracce che rimandano a memoria la lezione dei grandi maestri del rock'n'roll e dimostrano quanto ancora attuali e avvincenti possano risultare quelle sonorità ancora oggi, nonostante i tre musicisti pescaresi – con pseudonimi in tema come Nitro (voce e chitarra), T-Bone (contrabbasso) e Speedking (batteria) – si facciano ritrarre nella copertina come salme nelle rispettive bare. Vivi e vegeti, invece, e pure con una grande voglia di provare qualche strada alternativa, come quando tentano con successo anche la carta delle liriche in italiano, magari un esperimento da ripetere in futuro.
Guido Siliotto






Leonard Cohen


Leonard Cohen
"Parassiti del paradiso"
Minimum Fax, pp. 183, euro 13
Uscita nel 1966, ma mai pubblicata in italia prima d'ora, "Parassiti del paradiso" è una raccolta poetica fondamentale nella produzione artistica di Leonard Cohen, se non altro perchè sono qui contenuti i testi di canzoni come «Suzanne», «Teachers», «Fingerprints», «The Master Song» e «Avalanche». E' sempre un piacere gustare la funambolica capacità di Cohen di mettere assieme religiosità e sensualità e interpretare vari ruoli, come sottolinea Suzanne Vega nell'introduzione-tributo. Tutte le poesie presentano il testo originale a fronte.

Guido Siliotto

Miles Davis

Miles Davis
"Miles Davis Quintet Live in Europe 1967, The Bootleg Series vol.1"
Sony
E' caduto il 28 settembre il ventennale della scomparsa del grande Miles Davis e non poteva mancare una adeguata celebrazione anche da un punto di vista discografico, al solito molto attesa dai fan del trombettista, sempre pronti ad accogliere con entusiasmo qualche prezioso recupero dell'opera del maestro. La Sony, per molti anni la casa discografica di Davis (quando ancora si chiamava Columbia) è riuscita a rispolverare alcune registrazioni datate 1967 relative a un tour in Europa con il gruppo stellare composto da Wayne Shorter ai sassofoni, Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al contrabbasso e Tony Wiliams alla batteria. Il materiale qui contenuto era già noto ai fan, ma la vera sorpresa è un live a Copenaghen finora del tutto inedito. Si tratta di in un box di tre cd più un dvd, intitolato "Miles Davis Quintet Live in Europe 1967, The Bootleg Series vol.1", con la promessa dunque di dare seguito all'operazione. Come detto, la data è il 1967, dunque anteriore alla svolta elettrica, con brani tratti dagli album "E.S.P.", "Miles Smiles", "Sorcerer" and "Nefertiti", oltre ad alcuni classici come “Round Midnight”, “On Green Dolphin Street”, "I Fall In Love Too Easily” and “No Blues” in versioni assai differenti rispetto ai dischi ufficiali e catturati live il 28 ottobre ad Anversa, il 2 novembre a Copenhagen e il 6 novembre a Parigi, mentre nel dvd c'è il concerto di Stoccolma del 31 ottobre e quello di Karlshure del 7 novembre. Musica straordinaria, un documento assolutamente imperdibile.
Guido Siliotto

Arctic Monkeys

Arctic Monkeys
“Suck It And See”
Domino
Sembra passato un secolo da quando questi quattro ragazzi di Sheffield sconvolgevano il mondo del pop con il loro fulminante esordio, ma ancor più con una tattica di marketing tanto semplice quanto geniale, fatta di demo distribuiti gratuitamente e un abile utilizzo di Internet, tanto che fin dai primi concerti c'erano ragazzi adoranti in prima fila a cantare tutte le loro canzoni. Ormai sono una rock-band di quelle i cui dischi sono attesi febbrilmente da milioni di appassionati. Insomma, un sogno che si è avverato. Certo, qualche fan della prima ora ha già alzato bandiera bianca da un pezzo: la svolta rappresentata da un cd come “Humbug” aveva infatti segnato un nuovo percorso nello stile di Alex Turner e soci, un significativo allontanamento dalle ferree regole del pop britannico e un’incursione nel magico mondo della psichedelica e dello stoner rock a stelle e strisce. Il nuovo “Suck It And See” è in qualche modo la sintesi fra le nuove ispirazioni e le radici mai del tutto rinnegate, quelle che agli esordi consentirono al gruppo di sbancare le classifiche. Tra vibranti ballate e cavalcate più tirate, con buone prove melodiche e le più disparate citazioni, la band riesce a coniugare le diverse anime del proprio progetto musicale in una sintesi che non delude, ma lascia presagire per il futuro nuovi possibili sviluppi, alla faccia di chi pensava che non sarebbero mai stati in grado di evolversi.
Guido Siliotto

Taraf de Haïdouks & Kocani Orkestar


Taraf de Haïdouks & Kocani Orkestar
"Band Of Gypsies 2"
Crammed Discs
Per festeggiare il ventesimo compleanno, i Taraf De Haidouks hanno deciso di mettere in piedi un progetto assieme alla Kocani Orkestar, un vero e proprio supergruppo con i membri delle due band, o, meglio, una grande orchestra che mette insieme i 26 musicisti che compongono le due celebri formazioni, sotto la direzione di Stéphane Karo, che in passato aveva già avuto modo di lavorare con entrambe. Il titolo del disco che è nato da questa collaborazione allude al cd dei Taraf de Haïdouks uscito nel 2001 in cui l'orchestra macedone forniva il suo contributo. Stavolta, invece, le nuove canzoni nascono a tutti gli effetti dal sodalizio, in un disco che esalta la straordinaria vitalità della musica gitana anche grazie alla forza funky dei fiati della Kocani Orkestar. Inutile dire che con le 12 tracce contenute nella raccolta è come acquistare il biglietto per un viaggio sonoro capace di portare dai Balcani e dalla Romania fino alla Turchia, mescolando tradizione e pop music in un eccitante caleidoscopio. Ed è bello sottolineare non solo l'incontro tra le diverse generazioni che animano entrambe le band, ma anche l'abbraccio tra cristiani (Taraf de Haïdouks) e musulmani (Kocani Orkestar).
Guido Siliotto

venerdì 17 giugno 2011

Dome La Muerte

Dome La Muerte
“Poems for Renegades”
Japan Apart

Ci sono voluti oltre trent’anni di carriera a Domenico Petrosino, in arte Dome La Muerte, per pubblicare finalmente un album da solista. Dopo i dischi pubblicati con le varie band di cui ha fatto parte, dai CCM ai Not Moving, dagli Hush fino a The Diggers, “Poems for Renegades” è da molti punti di vista il suo lavoro più personale, concepito tutto da solo, sebbene arricchito dalla presenza di alcuni ospiti. L'album, che uscirà a giugno, si muove però stavolta fuori dal classico rock’n’roll di cui l’artista pisano è diventato, col tempo, uno dei rappresentanti più longevi del panorama italiano. Le nuove canzoni, infatti, acustiche nelle sonorità, a volte strumentali, sono soprattutto a base di folk e country. Ideato come tributo alla cultura dei nativi americani, con le poesie di Lance Henson, il cd contiene anche una cover di Bob Dylan (“Billy”) e una dei Ramones (“I Just Want To Have Something To Do”). Il risultato è un'opera davvero godibile, ma gioco forza indirizzata soprattutto agli inguaribili romantici del rock.
Guido Siliotto

Luther Blissett

Luther Blissett
“Bloody Sound”
Bloody Sound Fucktory / Hysm / Musica per Organi Caldi / Brigadisco

Hanno scelto di celarsi dietro il nome Luther Blissett, lo pseudonimo collettivo utilizzato fin dagli anni novanta da vari artisti e ispirato all'omonimo centravanti inglese ingaggiato dal Milan negli anni ottanta con deludenti risultati. Detto questo, la musica di “Bloody Sound” si presenta da sé, nei fulminanti trenta secondi di una rumorosissima introduzione che richiama subito alla mente le schegge sonore dei grandi Naked City, capace com'è di frullare con gusto free-jazz e noise-rock. Il disco si muove su questo schema, con le restanti tracce ovviamente più articolate, comunque sempre molto libere sia negli intenti programmatici che nei risultati concreti, con Peter Brotzmann come padre spirituale. Un album che, sebbene non aggiunga nulla a quanto già conosciamo nel settore, comunque piace molto perché credibile, ben suonato e ben fatto. Visti e sentiti al Tago Fest dell'anno scorso, i Luther Blissett fecero un'ottima impressione anche dal vivo.
Guido Siliotto

The Pattern Theory

The Pattern Theory
“The Pattern Theory”
Valeot

Sarà che le case a Berlino costano poco, comunque se anche gli inglesi si trasferiscono laggiù, vorrà pur dire qualcosa. Ad ogni modo, partiti da Leeds, dopo un po' di gavetta live culminata con la collaborazione con Damo Suzuki, sono approdati nella capitale tedesca questi The Pattern Theory, trio per il quale uscirà venerdi 13 il debutto discografico, pubblicato dall'interessante etichetta viennese Valeot. Carl Schilde, Lukas Creswell-Rost e James Yates, diciamolo subito, si muovono in tipici territori post-rock. Dunque, lunghi brani strumentali dove, sulla classica strumentazione rock si innestano sintetizzatore, vibrafono e xilofono, così da generare un suono avvolgente, per progressioni ritmiche ora più pacate e rarefatte, altre volte più energiche e coinvolgenti, divagando fino a territori più marcatamente prog. Un'opera che con molta probabilità non sconvolgerà le playlist di fine anno e comunque ha già un proprio pubblico, appassionato cultore di questo genere di realtà. Eppure si tratta di un buon disco, capace di farsi largo tra i molti ascolti.
Guido Siliotto

Uber

Uber
“Northern Exposure”
From Scratch

Tornano a ben sette anni dalla prova precedente i lucchesi Uber e questa è già una notizia per chi li dava per spacciati. È da tempo che questi ragazzi sono sulle scene, ma siamo in Italia e tutti conoscono le difficoltà di trovare la forza per tenere in piedi un progetto musicale dai connotati non troppo commerciali. Eppure, un ascolto a questo nuovo lavoro discografico, licenziato ancora dalla fiorentina From Scratch come il precedente “My New Lifestyle”, farebbero bene a darglielo tutti gli amanti di certi suoni influenzati dal kraut-rock e dal post-punk. I nostri, infatti, spostano parzialmente il tiro e si fanno meno math-rock e forse diventano più pop, non disdegnando l'utilizzo di certi synth in chiave disco e ritornelli piuttosto ossessivi. Nonostante il cambio di formazione e l'età che avanza (ma non ancora i capelli bianchi, giacché il rock'n'roll mantiene giovani, si sa), comunque gli Uber convincono ancora. Basterebbe solo che non ci mettessero tutto questo tempo per far uscire un disco.
Guido Siliotto

Baru

Baru
“Pompa i bassi, Bruno!”
Coconino Press, pp. 128 a colori, euro 17

Torna Baru con una nuova storia che mette insieme noir e riflessione sul sociale. L’autore francese, al secolo Hervé Barulea, classe 1947, uno dei grandi maestri del fumetto d’Oltralpe (vincitore del Grand Prix di Angouleme 2010, ma anche miglior autore straniero nell'edizione del 2002 di Lucca Comics) racconta qui le vicende di Slimane, un ragazzo africano che arriva in Francia da clandestino per riuscire a giocare a calcio, sua grande passione. Tra mille difficoltà, la faccenda si complica quando viene coinvolto nel maldestro tentativo di rapina da parte di una scalcinata banda di delinquenti che sogna di portare a termine il “colpo della vita”. Il finale è a sorpresa. Un graphic novel avvincente che mette in chiaro le grandi qualità narrative di Baru, un autore che, per la capacità di raccontare con tocco ironico storie anche drammatiche potremmo accostare, nel cinema, a uno come Ken Loach. Il tratto è magnifico, vitale, capace di delineare il carattere di un personaggio con una una sola smorfia del suo viso.
Guido Siliotto

Miguel Angel Martin

Miguel Angel Martin
"Psychopathia Sexualis"
Purple Press, pp. 126, b/n, euro 19,50

Torna disponibile, dopo 15 anni dalla sua prima pubblicazione in Italia, il classico maledetto di Miguel Angel Martin “Psychopathia Sexualis”. Quando uscì, nel 1996, fu sequestrato dalla magistratura italiana e si aprì un processo che si è chiuso solo nel 2001 con l'assoluzione di Jorge Vacca, proprietario della casa editrice Topolin. Dopo tutto questo tempo, il tema affrontato non perde un briciolo della sua tragica attualità. Per chi non lo sa, si tratta di una raccolta di brevi racconti che sono una sorta di campionario di atrocità, per le quali Martin si ispirò a celebri serial killer e oscuri fatti di cronaca nera. La violenza inaudita cui sono sottoposti soprattutto donne e bambini rende la lettura quasi insopportabile, mentre lo stile del maestro spagnolo, preciso e glaciale, oltre alla volontà di non prendere una posizione morale sull'argomento, rendono il tutto ancor più controverso. In chiusura del volume, tra l'altro, interviste a Martin, Vacca e Davide Toffolo, oltre alle reazioni del pubblico di una mostra milanese delle tavole originali.
Guido Siliotto

Barn Owl & The Infinite Strings Ensemble

Barn Owl & The Infinite Strings Ensemble
“The Headlands”
Important

Sono solo in due, Evan Caminiti (voce e chitarra) e Jon Porras (voce, chitarra e batteria), e come Barn Owl sono uno dei gruppi più caldi del momento. Si sono conosciuti cinque anni fa a San Francisco e hanno cominciato a suonare assieme nel nome della psichedelia più meditativa, con un'indole oscura e molto rumorosa. Col tempo la loro fama underground è cresciuta in maniera esponenziale, fino a far approdare la band presso l'etichetta Thrill Jockey, per la quale è uscito alla fine dell'anno scorso “Ancestral Star”, terzo LP, forse il lavoro più personale e significativo. La band non si è fermata, producendo altro materiale stavolta in collaborazione con The Infinite Strings Ensemble. “The Headlands” è lavoro più sperimentale, realizzato attraverso strumentazione particolarissima e definito come la raccolta di quattro “eternal ragas for the infinite now”, locuzione che spiega bene dove questi drone interminabili vogliono condurre chi li ascolta.

Guido Siliotto

Dirty Trainload

Dirty Trainload
“Trashtown”
Otium

Nella scena blues italiana ogni tanto vengono fuori delle band che non intendono seguire la strada maestra, ma preferiscono guardare dalle parti di un suono in qualche modo alternativo a certi luoghi comuni. Sembrano avere tale indole i Dirty Trainload, duo barese che arriva al secondo album dopo l'esordio di tre anni fa. C'è stato un drastico cambio di formazione: al posto di Marco Del Noce, oggi presente solo come ospite, è arrivata la voce e la batteria di Livia Monteleone accanto al chitarrista Bob Cillo. I risultati sono ottimi e il cd risulta caldamente consigliato a chi ama il blues declinato secondo una prospettiva che lo vuole sporco, ossessivo ed abrasivo, dalle parti di Jon Spencer, per intenderci, citando uno dei nomi più noti. Perfetto, insomma, per chi ama questo tipo di sonorità, ma potrebbe far perdere la testa anche a quegli ascoltatori più tradizionalisti, grazie a un paio di doverosi tributi al passato con due cover come "Stranger's Blues" di Elmore James e "44" di Howlin' Wolf.
Guido Siliotto

Gianni Mimmo / Harri Sjöström

Gianni Mimmo / Harri Sjöström
“Live at Bauchhund Berlin 2010”
Amirani

Il jazz si può ascoltare e suonare da molte prospettive. Questa è forse quella meno frequentata, la più sperimentale e, per i più, oltre modo ostica. Eppure, tutto nasce molto naturalmente, dall'incontro tra due ottimi musicisti come Gianni Mimmo e il finlandese Harri Sjöström, i quali incrociano i propri strumenti, il sax soprano, per duettare in totale improvvisazione in occasione di un concerto in onore di Steve Lacy. Un disco da ascoltare lasciandosi conquistare dalla fantasia e dallo stile di due performer in piena libertà.
Guido Siliotto

Alessandro Baronciani

Alessandro Baronciani
“Quando tutto diventò blu”
Black Velvet, pp. 116, euro 11

Una ragazza scopre, a trenta metri di profondità sott'acqua, all'improvviso e per la prima volta, la paura. La paura vera, quella che costringe a scappare. Comincia un'odissea tra medici e medicine, con un amore che finisce e l'impossibilità non solo di coltivare amicizie, ma anche semplicemente di salire su un autobus. Il fumettista pesarese Alessandro Baronciani affronta un argomento impegnativo con la solita delicatezza e torna alla grande con questo nuovo graphic novel dopo l'ottimo “Le ragazze nello studio di Munari”. Anche stavolta quell'ormai inconfondibile tratto pulito ed essenziale eppure efficacissimo, oltre alla scelta di optare per un bel blu al posto del solito bianco e nero, sono al servizio di una narrazione non priva di poesia. Il tema non è certo dei più ammiccanti, eppure per il modo in cui è sviluppato si fa presto ad affezionarsi alla protagonista, la cui vicenda intima può essere però letta come metafora di un male di vivere senz'altro più generalizzato.
Guido Siliotto

Dirty Beaches

Dirty Beaches
“Badlands”
Zoo Music

Alex Zhang Hungtai, nato a Taiwan, ha fatto del Canada propria patria adottiva, tra Toronto, Montreal e Vancouver. Da qualche tempo i suoi dischi si sono fatti strada negli ascolti di chi fruga nei meandri dell'underground: difficilissimi da trovare fisicamente, ma diffusi in rete da un manipolo di estimatori, i lavori firmati Dirty Beaches hanno condotto il nostro ad uno stile ormai inconfondibile, che trova in questo nuovo Lp, “Badlands”, la sua forma forse più compiuta. Chi già si era entusiasmato con la precedente cassetta “Solid State Gold” (in pochi, ovviamente, vista l'esiguità degli esemplari prodotti) troverà qui pane per i propri denti. Confermata l'indole di Hungtai, novello Alan Vega, con voce da crooner maledetto, mentre la musica scorre minimale ed ossessiva, tra improbabili rockabilly da dopo-bomba e lenti in stile anni cinquanta che sembrano rubati da una pellicola di David Lynch. La registrazione, al solito in bassissima fedeltà, rende il tutto ancora più sinistro ed affascinante.
Guido Siliotto

Meteor

Meteor
“Anemici – Sangue dalle rape”
In Limine / Sangue Dischi / Incisioni Rupestri / Bosco

Chiunque abbia un minimo di passione per la musica, nel senso anche di andare a cercare i dischi nei negozi, quei pochi che restano, o di farseli arrivare via Internet, quand'anche tale passione non sia quella insana dei collezionisti, ben conosce il fascino dei quarantacinque giri. Formato per nulla obsoleto, se è vero com'è vero che se ne continuano a stampare quanto e più di prima, sebbene si diffondano per lo più solo nei circuiti più o meno sotterranei. Ed è proprio in tale formato che i Meteor hanno deciso di proporre il proprio biglietto da visita, vista anche la durata esigua del lavoro. Scelta programmatica, questa della velocità: i loro concerti durano quindici minuti, le loro canzoni – senza titolo - al massimo due. E sono in tre i musicisti coinvolti, chitarra e batteria più un “trombone auto-costruito”. Una musica fatta di clangori che sembra partire da un hardcore messo nel frullatore per finire da qualche altra parte, non meglio identificata. Davvero devastanti, questi bresciani potrebbero diventare un culto.
Guido Siliotto

Mashrooms

Mashrooms
“Mashrooms”
Wild Love
Seguaci del verbo rock, ma da una prospettiva personale, i Mashrooms preferiscono una visione orchestrale, inserendo nell'organico anche violino, violoncello e pianoforte, con l'idea di creare pathos e calore con un suono debitore del più classico post-rock. La loro musica è comunque il frutto di un progetto ambizioso perseguito con evidente passione ed è suonata con adeguate capacità e con buona consapevolezza.
Guido Siliotto

Diane and the Shell

Diane and the Shell
“Barabolero”
Doremillaro

Dalla Sicilia con furore! Arrivano proprio dalla Trinacria Diane and the Shell e puntano ad una commistione tra il rock più spigoloso di derivazione math e certe aperture ironiche, che spingono il quartetto a tentare strade alternative, come l'incontro con la tradizione mediterranea, parentesi melodiche e persino l'elettronica, quella delle tastierine giocattolo in stile videogames. Un calderone dove non è difficile trovare spunti intriganti.
Guido Siliotto

Bad Sector

Bad Sector
“Chronoland”
Loki

Torna Massimo Magrini, alias Bad Sector, dopo l'ottimo “CMASA”, con un altro lavoro incentrato sulla memoria, stavolta da una prospettiva più intima e privata. Le tracce che compongono “Chronoland” sono infatti variamente ispirate ad alcuni accadimenti della sua vita, piccoli fatti che ne hanno caratterizzato in qualche modo il percorso e che hanno lasciato tracce indelebili e ricordi sempre vivi. Da questa idea di partenza, ogni brano è stato composto ripensando a quegli avvenimenti, in modo che le musiche li possano in qualche modo rappresentare o ne siano comunque uno sviluppo possibile da un punto di vista creativo. Questo il dato concettuale, anche se poi ciò che interessa di più è la resa finale. Da atmosfere tipicamente ambient si arriva a paesaggi più oscuri, senza disdegnare né parentesi melodiche, né detriti sonori e voci catturate qua e là. In sintesi, il risultato conferma le doti del musicista toscano, sempre capace di muoversi con personalità nel panorama dell'elettronica: poco incline a seguire le mode, Magrini continua il suo percorso e lo fa creando un proprio universo, ricco di sfumature.
Guido Siliotto

Andrea Laprovitera / Niccolò Storai

Andrea Laprovitera / Niccolò Storai
“Quartieri”
Tunué, pp. 112 b/n, euro 12

Un lavoro ambizioso quello di Andrea Laprovitera e Niccolò Storai. Basta leggere l’introduzione, dove si cita l’Antologia di Spoon River, per capire che l’idea di partenza era quella di un’opera corale, con più protagonisti e con più storie intrecciate fra di loro. Il tutto è ambientato tra le strade e i palazzi di un quartiere – e qui viene in mente il maestro Will Eisner. Il tratto del pratese Storai – sponsorizzato dal regista Alessandro Benvenuti - e il suo netto bianco/nero sono particolarmente vitali e spontanei. La sceneggiatura curata da Laprovitera, se riesce bene nello svolgersi delle varie vicende, pecca nei dialoghi, a volte un po’ ingessati. Ad ogni modo, “Quartieri” si legge con piacere e coinvolge: le storie sono varie, ora più leggere, ora più drammatiche, affrontando temi come amore, morte e solitudine, piccole grandi tragedie di persone comuni. Il tutto, come in un film, accompagnato da una colonna sonora fatta con canzoni come “What A Wonderful World” e “Free As A Bird”.
Guido Siliotto

18 Carat Affair

18 Carat Affair
“60/40”
Autoprodotto

Chiamatela chillwave, se vi va, però pare che il buon Denys Parker di queste cose si occupi già da tempi non sospetti, avendo iniziato nel “lontano” 2004 a comporre mescolando chitarre, tastiere e vecchi nastri analogici. Rubato il nome a una canzone firmata The Associates (se non la ricordate, ascoltatela su Youtube e capirete), il musicista-alchimista di Kansas City ha costruito una macchina del tempo ed è piombato nel 1982 e, per ambientarsi, ha cominciato a realizzare brevi brani strumentali totalmente calati in quelle atmosfere, fatte di colori sgargianti e pettinature impossibili. Dopo “Cassette Fantasy”, una collezione di brani improvvisati utilizzando un vecchio campionatore Casio, 18 Carat Affair è tornato con “60/40”, che possiamo salutare come il suo capolavoro, una collezione di brevi tracce strumentali registrate piuttosto male – l’effetto è, appunto, quello di un vecchio nastro ascoltato in uno stereo scalcinato – che rappresentano la summa delle sue ossessioni e sono una goduria per chi sia affamato di certe sonorità.
Guido Siliotto

Amelie Tritesse

Amelie Tritesse
“Cazzo ne sapete voi del rock and roll”
Nda Press

Mettete insieme uno scrittore e un gruppo di musicisti e fateli lavorare assieme e verrà fuori qualcosa come “Cazzo ne sapete voi del rock and roll”, album d’esordio firmato Amelie Tritesse. Da una parte la band (Giustino e Stefano Di Gregorio con Paolo Marini), dall’altra il giornalista e blogger Manuel Graziani, impegnati a dar nuova luce a 10 racconti scritti da quest’ultimo (alcuni tratti dal suo romanzo “La mia banda suona il (punk) rock”), con l’aiuto di Fabrizio Pluc Di Nicola che ha illustrato il libretto interno del cd. Lo chiamano “Read’n’rock di provincia”, un po’ per i temi trattati, un po’ per l’indole delle sonorità. Fatto sta che, sebbene gli accostamenti più ovvi quando si tratta di un disco dove c’è un testo recitato sulla musica vadano ai soliti Massimo Volume e Offlaga Disco Pax, qui le cose sono assai diverse, anche perché ci sono varie parti cantate in inglese (da Paolo Marini) e poi per l’atmosfera che si respira tra le varie tracce. Progetto intrigante, ascolto consigliato.
Guido Siliotto