giovedì 18 giugno 2009

Niente Records

AA.VV., “Volume 1”, Niente Records
Il cd arriva in una confezione di plastica nera che puzza di petrolio. Sopra c'è incollata una carta-specchio con su il nome dell'etichetta e il titolo, “Volume 1”. L'etichetta si chiama Niente Records e dietro ci sono gli st.ride, tra i meglio nascosti tesori dell'underground italiano. Questo è il manifesto per le future produzioni: con tale marchio, infatti, oltre i prossimi album del duo genovese, usciranno alcuni dischi firmati dagli artisti presenti nel cd in questione. Ma di chi si tratta? Sulla copertina non c'è scritto, per saperlo bisogna spedire una e-mail a nienterecords@gmail.com. La stessa cosa avverrà coi prossimi dischi, “per sottolineare l'importanza del contenuto in sé”, spiegano. Ad ogni modo, il segreto ve lo sveliamo volentieri, certi di stuzzicare la curiosità di chi legge citando – tra gli altri – vonneumann, st.ride, M16, Lendormin, Jealousy Party, A Spirale, Harshcore, I Placca e Renato Ciunfrini. Stiamo parlando della crema di certa scena sotterranea, sperimentale e creativa, capace qui di dare il meglio, forse anche per la bravura dei compilatori, che hanno cercato la via dell'omogeneità, specie sul versante del suono. Improvvisazione sfrenata, elettronica corrotta, dolci clangori e ritmi decostruiti. Un disco elettrico ed elettrizzante, carico di quel rumore che fa bene al cervello.
INTERVISTA A MAURIZIO GUSMERINI
Cos'è Niente Records?
E' prima di tutto l'etichetta degli st.ride e si occuperà delle nostre prossime uscite, ma intendiamo dare spazio anche ad altri artisti. L'idea è darle un'impronta che rifletta la nostra visione musicale, anche dal punto di vista del suono, un aspetto di solito poco curato, mentre in realtà avrebbe bisogno di approfondite valutazioni. Per noi è importantissimo trovare la resa sonora ideale in rapporto alla proposta musicale.
Volume 1 è un po' il manifesto dell'etichetta, giusto?
Direi di sì, lo ritengo già piuttosto esplicativo: il cd è composto da una serie di brani forniti da artisti profondamente diversi tra loro per logiche operative ed obiettivi, tipologie strumentali e sistemi produttivi, quindi niente incasellamenti di genere, ma una scelta basata sulla qualità e soprattutto sulla personalità e sull'originalità dei partecipanti.
Lavorerete ancora con loro?
Non sono sicuro che i gruppi presenti nella raccolta pubblicheranno dei lavori completi per la nostra etichetta, mi pare che siano quasi tutti piuttosto ben sistemati con con le loro label. Diciamo che sono stati molto gentili a partecipare all'iniziativa con entusiasmo e con brani di grande qualità.
La confezione del cd non contiene la lista dei brani.
Le segnalazioni in copertina indicheranno sempre e solo il nome dell'etichetta ed il numero progressivo di uscita. La tracklist non fa parte della confezione perché vogliamo sottolineare l'importanza del contenuto in sé, una raccolta di brani su un pezzetto di plastica che formano nell'insieme una proposta d'ascolto, ma viene fornita via e-mail a chiunque la richieda, quindi non deve restare per forza nascosta, è solo spostata al di fuori del packaging.
Ma perché la confezione ha quest'odore così insopportabile?
Della puzza non mi ero accorto subito, saranno le sigarette... Immagino che, data la provenienza cinese delle confezioni, siano state prodotte con materiali "da discarica", oppure si tratta di una reazione chimica con il materiale adesivo applicato sotto lo specchio. Non so, comunque non mi dispiace la copertina in “odorama”. Trovo che sia una puzza confacente al contenuto!
Guido Siliotto

Vonneumann

Vonneumann, “Il de' metallo”, Ebria
Nel contesto dell'annosa quanto complessa ed irrisolta questione circa i rapporti tra composizione e improvvisazione, che spesso s'intrecciano e si confondono, ecco che i vonneumann, da sempre impegnati a dirimere la matassa, tentano la carta della soluzione estrema: anziché fare un disco che metta d'accordo entrambe le istanze, perchè non farne due, uno d'improvvisazione e l'altro di vere e proprie canzoni? Quello che abbiamo tra le mani, “Il de' metallo”, risponde alla prima delle due esigenze ed è, infatti, disco dove i musicisti sono entrati in studio senza neppure sapere cosa avrebbero poi suonato, salvo le aspettative che ciascuno riponeva nell'ormai decennale reciproca frequentazione. Ad ogni modo, la tendenza è stata quella di impegnarsi a trovare un'intesa, mettendo al centro un giro di basso o un qualsiasi altro appiglio, su cui poi intessere le proprie tele. La libertà espressiva, spinta al massimo, diventa impossibile da incatenare e l'ascolto si fa attento, ma oltremodo stimolante e avventuroso. A questo punto, grande attesa per “Il de' blues”, l'album di canzoni – ma sarà poi vero? - in uscita a breve.
Guido Siliotto

lunedì 8 giugno 2009

Quasiviri

Quasiviri, “The Mutant Affair”, Wallace / Megaplomb
È addirittura biblico il riferimento, nel nome della band come nell’apocalittica copertina. Quasiviri è la ditta che mette assieme André Arraiz-Rivas, batterista canadese trapiantato all’ombra della Madonnina, con due schegge impazzite dell’underground italiano: Chet Martino, basso a otto corde, già nei mai dimenticati Pin Pin Sugar e ora membro dei Ronin, e Roberto Rizzo, tastiera / voce proveniente dai R.U.N.I.. I tre, inutile dirlo, si divertono un mondo e fanno di tutto per far divertire anche noi che ascoltiamo. Ci mettono i muscoli e una giusta dose di ironia, scegliendo una formula piuttosto semplice: brani pressoché strumentali, salvo qualche coretto demenziale, basati sull’interazione grintosa tra un’implacabile quanto creativa sezione ritmica e le tastiere acidissime e cafone, che intessono le loro improbabili melodie innestando così, su una superficie tra hard-rock e jazz-core, un godibile piglio pop. Un’alchimia che richiama in qualche modo le gesta di grandi band di Washington DC, da El Guapo a Trans Am, in particolare riprendendo, con personalità, il gusto di rovistare nella pattumiera del rock per riciclarne proficuamente le scorie.
Guido Siliotto

The Lonely Rat

The Lonely Rat, “The Lonely Rat”, Ghost
Ogni tanto fa piacere mettere su un disco e scoprire che contiene semplicemente una manciata di belle canzoni, suonate con una chitarra acustica e cantate con adeguata passione, senza particolari pretese se non quella di comunicare una certa urgenza espressiva con acume e immediatezza. È questa la prima sensazione che viene fuori dall’ascolto dell’esordio firmato The Lonely Rat, pseudonimo che cela Matteo Griziotti, già leader dei Merci Miss Monroe, apprezzata band del circuito underground milanese. Le 13 canzoni che compongono il cd omonimo sono nate tra un impegno e l’altro della band di provenienza, in un angolino, solo soletto a pizzicare la sei corde e a cantare con voce sommessa. Potevano rimanere nel cassetto, ma l’etichetta varesina Ghost Records ha pensato bene di pubblicarle. L’artista ha perciò deciso finalmente di chiudersi in studio e, con l'aiuto dell’amico Mr. Henry, le ha registrate così come erano nate, senza sfarzi né orpelli, per la nostra soddisfazione. Il risultato è un bel disco, che si ascolta con piacere, dove il nostro si lascia ispirare un po' dalle proprie emozioni e un po' dai propri fantasmi. Un buon esordio che fa ritenere opportuno, a breve, un adeguato seguito.
Guido Siliotto

venerdì 5 giugno 2009

Paolo Cattaneo

Paolo Cattaneo, “Adorami e perdonami”, Eclectic Circus
Ha il dono della sintesi Paolo Cattaneo. Tanto per cominciare, questo suo terzo album, “Adorami e perdonami”, dura meno di mezz'ora e contiene appena otto canzoni. Non solo: la struttura dei pezzi, la scelta di mettere in evidenza le parole attraverso sonorità soffuse, arrangiamenti essenziali, raffinati ma non invadenti, testimonia un approccio che privilegia la sostanza, pur non ritenendo la forma un fattore secondario. Non basta un ascolto per apprezzare appieno il cd, il che finisce per essere un aspetto positivo: le canzoni del cantautore bresciano seducono un poco alla volta, ma inesorabilmente. Anche per via dell'apporto produttivo dei fratelli Sinigallia, Daniele e Riccardo, inevitabile risulta il paragone con quest'ultimo, con qualche evidente affinità nel linguaggio espressivo. E se una pecca si vuol trovare, risiede forse nell'eccessiva omogeneità dell'insieme, ma è difetto che non toglie valore a un'opera che comunque conferma Cattaneo come uno degli autori più interessanti della sua generazione. Complimenti anche alla copertina, che ci piace immaginare in dimensione dodici pollici, con un dipinto realizzato da Mikel Robinson.
Guido Siliotto

Maisie

Maisie, “Balera metropolitana”, Snowdonia
Dopo un'attesa di quattro anni, avevamo temuto che non ce l'avrebbero fatta, ma eccolo finalmente il disco doppio dei Maisie: due ore e mezza di musica, 44 canzoni. Traditi gli esordi da non-musicisti con una lenta ma inesorabile evoluzione pop, pur conservando comunque una posizione di guastatori, ci consegnano il loro capolavoro. Progetto ambizioso in tempi di frenetici e fugaci ascolti, “Balera metropolitana” è un affresco impietoso dei tempi che stiamo vivendo dalla prospettiva di chi è cresciuto negli anni ottanta e ha cominciato a percepire la fine del mondo nel decennio successivo, tanto che il terzo millennio gli fa un baffo. Lo sguardo non può che essere sarcastico per sopravvivere, con un senso di morte che però aleggia per tutta l'opera. Se i testi sono come un lucido zapping tra il bene e il male, l'approccio da un punto di vista musicale è caleidoscopico: dalla canzone d'autore all'italo-disco, nulla resta impunito, tra cose memorabili e tonfi aberranti, salvo che spesso le due cose coincidono. C'è anche qualche funzionale cover (una “Voglia di cosce e sigarette” di Mauro Repetto completamente stravolta e “La licantropia” di Pippo Franco) e non mancano gli ospiti, preziosi: Flavio Giurato, che se la canta e se la suona, Mario Castelnuovo e Amy Denio su tutti.
Guido Siliotto

Amos Poe

La retrospettiva che ha visto protagonista il cinema di Amos Poe al Cantiere Sanbernardo di Pisa dall'11 al 17 maggio scorsi è stata l'occasione per ripercorrere le tappe di un magnifico percorso, iniziato a metà anni settanta. All'epoca, la comunità artistica di New York è in pieno fermento e Amos, arrivato in città con la famiglia da Tel Aviv, si fa subito coinvolgere e mette a frutto la propria passione per il cinema girando due documentari, che, ancora oggi, sono tra le più vivide testimonianze di quegli anni, “Night Lunch” e “Blank Generation”. Esplode la no-wave, un movimento che mette in discussione i canoni estetici dominanti, prima di tutto nella musica, ma anche in campo cinematografico. I due lungometraggi firmati da Poe, “Unmade Beds” e “The Foreigner”, ne diventano il manifesto: devozione per la nouvelle vague ed estetica punk. Opere che rimangono a lungo insuperate dallo stesso autore, che nel frattempo si cimenta anche con la televisione, ma a modo suo, tra videoclip e lo show settimanale di culto “Glenn O'Brien's Tv Party”. Finché nel 2007 arriva “Empire II”, appassionato ed appassionante ritratto della Grande Mela, presentato con successo al Festival di Venezia. “L'originale firmato da Andy Warhol – otto ore di riprese dell'Empire State Bilding - ha significato molto per me, quand'ero un giovane regista e studiavo il modo di pensare all'economia delle immagini e a quale fosse il significato della percezione dell'immagine in movimento in un film”, spiega Poe. “Lo consideravo un audace, concettuale, epico capolavoro. E, sebbene impossibile da guardare, senz'altro ipnotizzante. Stimolava la mia sensibilità perché potevo dormire e sognare, magari una mezz'oretta, e svegliarmi con la consapevolezza di non essermi perso nulla. Come avrebbe detto Andy: “Wow!”.
Ma come mai ha deciso di girare un remake?
Nel 2005 ho cambiato casa e in quel periodo ero molto interessato a come il pubblico percepisca lo scorrere del tempo e come questa percezione crei un vero e proprio “spazio”. Perciò, la prima cosa che ho fatto nel nuovo appartamento è stato piazzare la videocamera e catturare la città, l'Empire State Building in particolare. Il film è partito così, solo più tardi sono arrivato all'idea finale: se il tempo non è un continuum, e se io mi ritrovo con sessanta ore di girato, ma voglio un film di tre ore senza tagli, come faceva Warhol, allora devo comprimere il tempo al duemila per cento. Questa è diventata la questione centrale e, un po' come la teoria di Einstein sullo spazio e il tempo, ho creato l'energia del film. Col risultato di rappresentare New York in una maniera più realistica del reale.
La musica è sempre stata un elemento importante del suo cinema. Come avviene la scelta?
Beh, “Empire II”, vista la durata, è un caso particolare. Puoi vedere il dvd e ascoltare qualsiasi musica nel tuo i-pod e la cosa funziona. A New York, un trio di musicisti capeggiati da Thurston Moore dei Sonic Youth ha suonato un live-set totalmente improvvisato di tre ore ed è stato perfetto. In altre parole, la musica trova sempre il modo di essere sincronizzata alle immagini. Ad ogni modo, di solito utilizzo la musica per aituarmi a evidenziare l'elemento emozionale e ottenere il giusto feeling visivo.
Perchè ha iniziato a girare film?
Era la sola cosa che potessi fare per evitare di diventare pazzo. Il primo momento che ho acceso una cinepresa Super 8 è stato super elettrizzante, super sexy, un po' come dev'essere accaduto quando Pelé ha calciato il suo primo pallone o Michelangelo ha preso in mano uno scalpello per la prima volta. Non sapevo cosa fare, ma non importava. È stato come scoprire Dio!
Cosa si prova ad essere considerato un maestro dai giovani registi?
Ad essere onesti, l'unica cosa che davvero penso di padroneggiare è il mestiere di scrivere per lo schermo. Per il resto, sto ancora scoprendo, o riscoprendo, le possibilità del mezzo. Spero soltanto che certi miei film possano far capire – ed è una cosa che dico sempre ai miei studenti – che tutto ciò che stiamo cercando di raggiungere è quella magia che danza tra i nostri incubi e i nostri sogni.
Qual è stata la vera forza del cinema no-wave?
Abbiamo contribuito a rivoluzionare e reinventare il cinema americano partendo dall'idea che un dilettantismo pieno di fantasia è di gran lunga meglio di una noiosa professionalità.
Al momento, dove trova ispirazione?
Buona domanda. La roba migliore arriva da certe emozioni casuali, connessioni spirituali e chimiche. Non ho mai saputo dove o come, è come se fossi spinto in questa direzione, a volte non vorrei e non sono neppure sicuro che sia una mia scelta. L'ispirazione per il film che sto per girare in Italia, che si chiamerà “Uscita”, mi è arrivata mentre guidavo verso Volterra con la mia fidanzata.
Che ne pensa di Obama?
Lo adoro. È fantastico. Kennnedy è durato troppo poco, Nixon era un supercriminale, Reagan faceva schifo sia come attore che come presidente. la definizione per Bush Senior è "oil-whore", Clinton era fuori fuoco e Bush Junior peggio di venti Bin Laden! L'America è una tossica pattumiera piena di corruzione e avidità, un impero sull'orlo del baratro fin dal 1972. Ma se Obama saprà farle cambiare volto, allora potrà evitare di replicare la caduta dell'Unione Sovietica, di Roma o di qualsiasi altro impero fino ad oggi. E' un lavoro enorme e non può farcela da solo. È come se il Titanic stesse affondando e i passeggeri decidessero di nominare un nuovo capitano. Non so se sia una cosa fattibile, potrebbe essere già troppo tardi. Ad ogni modo, amo la fermezza di Barry, il suo senso dell'umorismo, il suo rigore morale e la sua adorabile famiglia.
Guido Siliotto